STORIA E STORIE di

 La memoria e il Vajont: deve diventare una data nazionale

Lunedì 13 Ottobre 2014
 Ha ragione Mauro Corona: le vittime della strage del Vajont non possono essere ricordate soltanto negli anniversari con cifra tonda. Lo scorso anno, a mezzo secolo dalla tragedia, ne parlarono tutti e arrivarono le istituzioni. Quest’anno non è arrivato nessuno, nemmeno un telegramma come si faceva una volta. Il Vajont deve diventare una data nazionale. Abbiamo memoria corta come italiani, ci devono fissare le date con una legge per obbligarci a ricordare: la giornata della memoria,quella del ricordo, quella delle vittime del terrorismo, la giornata per le vittime della mafia. Il ricordo del Vajont merita una legge e una data. Si tratta di una strage annunciata, voluta dall’arroganza e dall’avidità di certi potere economici e dalla connivenza spesso colpevole delle istituzioni. Si sapeva che sarebbe successo, è accaduto. Duemila morti, una cifra enorme. Non si può far calare il silenzio su tante vittime. Uno Stato civile non deve consentirlo. Mauro Corona ha ragione. Il disastro ambientale non è un caso isolato, non appartiene al passato: quello che sta accadendo a Genova dimostra che avidità, incapacità, malcostume sono mali quotidiani. Lo scrittore di Erto, uno dei centri cancellati dal disastro, sa essere provocatorio, ribelle, ma è sincero sempre, talvolta fino a farsi male. Scrive pagine bellissime su quella natura che lo ha circondato da bambino. Pochissimi conoscono la valle del Vajont come Corona, con le rughe della terra e della montagna, con le pieghe dell’acqua. Corona può descrivere ogni angolo, i sassi, l’erba, il sole e la neve. Se la gente del Vajont non è stata dimenticata è anche merito suo. Ora spetta allo Stato andare oltre alla giustizia dei tribunali, più in là dei risarcimenti dovuti, superare i monumenti e le cerimonie. Deve fare in modo che il Vajont entri nella nostra cultura e nella nostra storia democratica per evitare che possa accadere un altro Vajont. Ha ragione Mauro Corona a prendersela, ad alzare i toni, a chiamare in causa chi governa. Soprattutto, a invitare a non dimenticare. Il Vajont è stato terribile, quasi fosse una fine del mondo. La notte del9 ottobre 1963 l’acqua e lo spostamento d’aria crearono la distruzione in quattro minuti! La valle si coprì di fango che seppellì interi paesi sotto una crosta dura. Un muro solido e orizzontale coperto di detriti. Soltanto alla luce del giorno fu possibile capire l’enormità del dramma. “Il paese di Longarone praticamente non esiste più. È stato cancellato. Al suo posto non vi è che un’enorme massa di fango”, riferì la prima notizia delle agenzie di stampa. Erano già le ore 10,39 del 10 ottobre. Dal Piave per giorni continuarono ad emergere centinaia di corpi straziati e denudati dalla furia delle acque. “Non è rimasto nulla. Non nulla per dire poca roba: proprio nulla”, scrisse un giornale. Quasi duemila morti, 1910. L’effetto della devastazione è stato paragonato a quello di due bombe atomiche di Hiroshima. Quelle avevano cancellato la vita nel calore, qui è stata la forza dell’acqua che è entrata nelle case, ha strappato le persone dai letti, le ha spogliate, le ha disintegrate. Prima dell’onda Longarone aveva 4.636 abitanti, dopo l’onda restarono in piedi il municipio e 24 costruzioni. A Longarone c’è un museo, all’ingresso pendono dal soffitto 1910 lamelle grigie, una per ogni vittima. E all’uscita 31 lamelle bianche, una per ogni bambino mai nato. La crosta di fango del Vajont ha sepolto anche trentuno donne in attesa di un figlio. Il cimitero è a Fortogna e le tombe hanno tutte la stessa data: 9 ottobre 1963. Metà non recano nome perché i corpi recuperati erano irriconoscibili. Le croci sono tutte bianche, tutte uguali. Ultimo aggiornamento: 17:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA