STORIA E STORIE di

Canzonette e calcio, sono nazionalpopolare e non me ne vergogno

Giovedì 12 Febbraio 2015
Sono nazionalpopolare e non me ne vergogno. Mi piacciono le partite della Nazionale di calcio e il Festival di Sanremo. Ho visto in televisione tutti i mondiali di calcio dal 1958 a oggi, da quando avevo l’età per capire qualcosa di pallone e per tifare. Il primo l’ho visto in un bar, perché a casa ancora non c’era il televisore e i bar – oltre alle parrocchie e alle sezioni del Pci – erano allora i depositari del piccolo schermo. C’era anche al cinema il giovedì, ma solo per far seguire “Lascia o raddoppia?” senza gli spettatori abbandonassero la sala e restassero per l’ultimo spettacolo. Così ricordo bene quei gol di Pelè alla Svezia e la vittoria netta del Brasile. L’Italia non c’era, non qualificata dopo una sconfitta beffa con l’Irlanda del Nord. Espulso Ghiggia “oriundo”, che era stato campione del mondo nel 1950 coll’Uruguay, presenti undici calciatori che venivano da undici squadre diverse. Se dovessi scegliere il mio gol mondiale, andrei alla notte messicana del 1970, l’ultimo, quello di Rivera,che fece della partita l’incontro del secolo. Ero appena rientrato dal giornale e con mio fratello abbiamo fatto mattina davanti ala tv, sembrava non dovesse finire mai. Dal 1958 ho visto anche il Festival in tv. Gli altri li conoscevo dalla radio, perché la gente il giorno dopo cantava nelle strade le canzoni che ricordava, quelle più popolari non necessariamente le più belle. Andavi a fare la spesa e sentivi il fruttivendolo;“Il pericolo numero uno, la donna…”. Era il tempo delle prime case popolari, piccole ma con bagno e cucina. La gente cantava: “Aveva una casetta piccolina in Canada con vasche e pesciolini…”. Nella mia città quell’anno inaugurarono una serie di case popolari, furono ribattezzate “Casette in Canada” e sono ancora rimaste tali. Il 1958 fu diverso, anche un bambino come me capì che Modugno con “Volare” aveva rotto gli schemi, che non c’era più spazio per rime cuore-amore, per mamme che invecchiavano però rimanendo belle, per le barche che tornavano da sole, vecchi scarponi, autunni malinconici, lune nel rio e postine della Valgardena. Forse era colpa del miracolo economico, forse del rock che aveva rivoluzionato i ritmi. I più grandi si sarebbero ricordati che era anche l’anno in cui chiusero definitivamente i casini con la legge Merlin. Sanremo divenne qualcosa di diverso. Da allora li ho visti quasi tutti, anche quelli degli anni di cui non si ricordano nemmeno i vincitori e che anche la Rai trattava malissimo, una serata e basta. Mica come oggi che per una settimana in tv non si fa altro e non si sente parlare di altro che di Sanremo e pure la concorrenza per limitare i danni trasmette vecchi film e repliche di repliche. Ma il Festival resta uno spettacolo, forse il più italiano degli spettacoli. Dentro ci siamo tutti, con difetti e pregi, sogni e depressioni. E gli snob che dicono di non aver mai visto Sanremo, forse lo guardano di nascosto. Come quelli che raccontano di non aver mai letto “Novella Duemila” o al massimo di averlo fatto dal parrucchiere. Come quelli che negli Anni ’60 e ’70 compravano quattro o cinque quotidiani impegnati per nasconderci dentro la copia patinata di Playmen. Ultimo aggiornamento: 28-01-2016 18:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA