STORIA E STORIE di

Chi ha paura della fiera cattiva?

Giovedì 28 Gennaio 2016
Ci tenevo davvero! Volevo essere uno di quelli che in dieci anni della Fiera delle Parole ci sono sempre stati. Ho incominciato nel 2005 con la presentazione del mio libro “Il sangue di tutti”, era il 25 Aprile e la data era perfetta. Si chiamava ancora “Cuore di carta”. Ho continuato fino all’ottobre 2015. Con me c’è stato spesso l’amico di avventure Gualtiero Bertelli con la sua voce, la fisarmonica e la chitarra. Con Bertelli e la Compagnia delle Acque, alla Fiera delle Parole, abbiamo anche rappresentato spettacoli tratti dai libri. Ho fatto in questi anni da spalla a decine di scrittori, attori, personaggi televisivi; l’11 ottobre scorso al Palazzo della Ragione, ero con Mauro Corona davanti a oltre mille persone.

Ho anche il libro pronto per il decimo compleanno, “RossoPiave”, e sono convinto che lo presenterò, nonostante tutto, alla decima Fiera delle Parole.

C’ero la prima volta a Rovigo, nei locali dell’ex Zuccherificio, archeologia industriale recuperata bene, spazi ampi, confusione come accade per ogni inizio, molta gente, tanta curiosità, voglia di vedere, conoscere. Una giornata luminosa, alla partenza da Mestre delle volontarie della Croce Rossa ci avevano venduto il “bocolo” simbolo della festa veneziana di San Marco. Ci sembrava un buon augurio per l’avventura del nuovo libro e della nuova Fiera delle Parole. Da allora tra Rovigo e Padova non sono mai mancato. L’organizzatrice Bruna Coscia non mi ha mai chiesto se avevo o meno una tessera di partito, se avevo preclusioni ad affiancare questo o quello scrittore. Ho presentato autori di destra, di sinistra e di centro, uomini e donne, ho letto tanti libri di vario argomento per poterne discutere con gli autori e col pubblico in teatri, librerie, sale. Non ho mai avuto la sensazione che Marcello Veneziani o Buttafuoco o Candido Cannavò o il mio amico Arrigo Cipriani fossero noti esponenti della Sinistra italiana. O forse lo erano e non me ne sono accorto.

Mi sembra strano che il sindaco di Padova Massimo Bitonci abbia deciso di chiudere la città alla Fiera delle Parole, una manifestazione attiva e di successo, con centinaia di autori e 70 mila presenze. Soprattutto che abbia lanciato una serie di critiche all’organizzazione e ad alcuni scrittori. Sia chiaro, un sindaco decide per la sua città, stabilisce come distribuire i finanziamenti e se sia valido il loro impiego. Può benissimo pensare che una manifestazione non si adatti alla sua città e farne a meno. E’ un suo diritto. Non è un suo diritto fare liste di proscrizione, indicare quali autori sono bene accetti e quali no. Le censure non dovrebbero fare parte della cultura di un amministratore.

Si può fare a meno della Fiera delle Parole a Padova, ma si deve anche ammettere che si tratta di un festival di successo, gradito alla gente, capace di coinvolgere la città e di portare anche commercio e buoni affari, non solo cultura, sia pure giudicata di parte.

E adesso non mi resta che sperare che Bruna Coscia trovi la sede per la decima edizione perché io e Bertelli ci stiamo già preparando e non ci piacerebbe rinunciare. Abbiamo una certa età, non va bene attendere troppo.

E poi dove lo trovo un altro autore di sinistra da presentare?

Mi fa sorridere Bitonci, è l’unico in questa Italia che individua e etichetta scrittori di sinistra in un Paese dove la sinistra non si sa più dove sia e i comunisti sono tutti nelle barzellette o nelle battute di qualche politico nostalgico. L’ultimo che si dichiarava comunista se n’è andato centenario e, a modo suo, felice.

Qualche anno fa sono stato a Budapest, lì il comunismo lo hanno chiuso in un recinto alla periferia della città, proprio un giardino con tanto di mura. All’interno ci sono le statue che una volta erano nelle piazze, falci e martelli, busti di Lenin e di Marx, operai in marcia e massaie con figli in braccio, bandiere rosse che sono in bronzo e fortunatamente non si vede il colore. Tutto racchiuso e conservato per i nostalgici che ci vanno con i figli nei pomeriggi dei giorni di festa, mentre gli altoparlanti diffondono i vecchi inni. All’ingresso vendono una scatoletta, come quelle del tonno. Sopra c’è scritto: “L’ultimo respiro del comunismo”. I più increduli aprono con uno scatto e non sanno il pericolo che corrono. Ultimo aggiornamento: 18:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA