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Se ci fossero ancora Tito e la Jugoslavia...

Giovedì 27 Agosto 2015
Se il maresciallo Tito fosse ancora vivo e la Jugoslavia unita, la Nazionale balcanica sarebbe una potenza mondiale del calcio. Ovviamente è impensabile, perchè Tito è morto nel 1980 e il processo di dissoluzione in vari Stati sovrani è cominciato nel 1990.   Ma Serbia, Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Macedonia continuano a sfornare fior di calciatori dai piedi buoni che portano qualità in tutta Europa. Soltanto nella nostra Serie A i talenti balcanici sono una cinquantina, più di brasiliani e argentini. Un elenco lungo e di grande spessore. Basta citarne alcuni: Dzeko, Lulic, Pjanic e Zukanovic (Bosnia-Erzegovina); Mandzukic, Brozovic, Strinic, Kelava, Badelj e Bagadur (Croazia); Pandev e Trajkovski (Macedonia); Jovetic e Bakic (Montenegro); Milinkovic, Lazovic, Ljajic, Maksimovic, Radovanovic, Vidic, Jankovic, Krsticic, Djordjevic, Basta e Brkic (Serbia); Handanovic, Birsa, Ilicic, Belec (Slovenia). Nel resto d’Europa troviamo poi, tra gli altri, Ivanovic, Subotic, Nastasic, Kolarov, Matic, Modric, Rakitic, Basa, Perisic, Markovic e Kovacic (fresco dall’Inter al Real)... È un fenomeno in crescita, di non semplice spiegazione. Di certo lo shopping al di là dell’Adriatico ha diversi vantaggi: c’è grande scelta, specie tra i giovani (da tenere d’occhio Marko Pjaca, Dinamo Zagabria, classe 1995); i costi sono contenuti, uno slavo a parità di livello costa la metà di un italiano; croati e sloveni non sono extracomunitari, e per definire le rose è un dato fondamentale; sono culturalmente duttili, "europei" nella testa, si integrano bene e con altrettanta facilità imparano le lingue (Pjanic, ad esempio, ne parla 5 o 6); l’Italia è un po’ casa loro, è un’aria familiare, non conoscono nostalgia e sono esclusi lunghi viaggi transoceanici. L’amara morale: i fenomeni non nascono più in Italia. Ultimo aggiornamento: 13:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA