MONDO OVALE di

Il modello Cheika dal Petrarca al Super Rugby: difesa fa rima con spettacolo

Martedì 12 Agosto 2014
Le difese hanno fatto un altro passo avanti a giudicare da quanto visto nelle fasi finali del Super Rugby, il torneo delle franchigie dell’emisfero australe che è anche il più spinto laboratorio del gioco nell’era professionistica. Hanno messo per la prima volta le mani sul trofeo i Waratahs allenati dall’ex tecnico del Petrarca Michael Cheika, che proprio a Padova nel 1999 iniziò la carriera di tecnico. Lo hanno fatto con assoluto merito, al di là del punticino di differenza nello score (33-32). E con la miglior difesa del torneo, qualità decisiva nella semifinale con i Brumbies più ancora che in finale con i Crusaders neozelandesi. I Brumbies, rinunciando a sorpresa alla loro abilità nel gioco al piede, hanno attaccato palla in mano da ogni angolo di campo, con combinazioni corali ad alta velocità e per 25’ della ripresa hanno sottoposto i Waratahs ad una pressione continua fuori dal comune. Ma senza costrutto. RUSH DEFENCE. Il capitano Hooper, Hoiles, la seonda linea Douglas hanno placcato come matti dando il tono a tutta la squadra. E tuttavia detto com’è giusto del lavoro dei singoli, è nell’organizzazione e nella mentalità la forza della difesa dei nuovi campioni. Un congegno esplosivo, forse l’interpretazione più spinta in circolazione della “rush defence”, che corre molti rischi con una salita fulminea della linea, che tiene alti i giocatori esterni per inibire il gioco all’ala e orientare la manovra verso l’interno, nella zona a più alta densità di difensori. Ma messa in sicurezza da un sincronismo perfetto, un’organizzazione puntuale, ad esempio nella copertura profonda esposta al gioco al piede, da una fiducia totale nel loro sistema e persino da una certa dose di entusiasmo nell’avanzare, chiudere spazi e placcare. PALLONI DI RECUPERO  E SPETTACOLO. Però parlare di difesa nel caso della squadra di Cheika è riduttivo. Sarebbe più corretto dire “linea di opposizione”, perché spesso questi movimenti sono eseguiti nel campo avversario e in pressing. E si fondono con l’attacco. Come? Conquistando terreno con l’avanzata collettiva e con placcaggi offensivi al di là del la linea del vantaggio, recuperando palloni che si trasformano immediatamente nelle migliori e più spettacolare occasioni da meta. In un rugby in cui si consumano pochi giocatori nella mischie spontanee (ridotte nel gergo tecnico a zona di placcaggio o punto d’incontro), in cui gli spazi sono sempre più striminziti e i sistemi d’attacco sono decodificati dai videoanalisti, non è facile assistere a belle mete, costruite su lanci di gioco da mischie e touche. Le mete e spesso lo spettacolo si rivelano, d’improvviso, su palloni di recupero, in situazioni che consentono di sfruttare una situazione di squilibrio, il ripiazzamento affannoso dell’avversario, costretto ad abbandonare la struttura offensiva per ripiegare e improvvisarne alla svelta una difensiva. E’ qui che la capacità di adattamento, l’ispirazione individuale e collettiva, la tecnica, hanno le migliori occasioni di esaltarsi. E le semifinali del “Super Rugby” hanno dimostrato ancora una volta come la maggior parte delle mete nascano dai palloni procacciati dalla difesa. SUDAFRICANI PREVEDIBILI. Nel Super Rugby i sudafricani sono sembrati un gradino più indietro. Gli Sharks visti contro i Crusaders in semifinale, pur essendo molto solidi difensivamente hanno accusato minore prontezza e capacità di adattamento nel passare dalla situazione difensiva a quella offensiva, in parte prigionieri di un gioco troppo strutturato e prevedibile che rende meno fluida la manovra. Staremo a vedere se queste tendenze verranno confermate nel Championship delle quattro maggiori nazioni dell’emisfero Sud che si apre sabato con Australia-Nuova Zelanda e Sudafrica-Argentina. I neozelandesi sono i più completi (e i super favoriti), il Sudafrica è però capace di alzare l’intensità e la fisicità a livelli di massima efficacia. FOLEY, CHE APERTURA. Ma mentre di queste due squadre tutto o quasi si conosce, mi aspetto di vedere l’effetto Foley sul gioco australiano. Questo mediano di apertura è un giocatore molto interessante e potrebbe dare un equilibrio nuovo alle scelte dei Canguri. Un mix geniale di imprevedibilità e raziocinio. Attacca la linea con incisività e un cambio di passo disorientante, ha una qualità di passaggio che mi ricorda quella di Michael Lynagh, un gioco al piede contenuto ma preciso e acuto. E ha dalla sua una precisione ragguardevole dalla piazzola (100% in finale). Può  riuscire dove ha toppato Quade Cooper. A patto, beninteso, che gli avanti risolvano le loro equazioni fondamentali. (Toni Liviero) Ultimo aggiornamento: 01:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA