L'ipotesi missioni nei Paesi sub-sahariani

Mercoledì 30 Agosto 2017 di Cristiana Mangani
L'ipotesi missioni nei Paesi sub-sahariani

Missioni di protezione, il presidente francese Emmanuel Macron le ha chiamate così. Prevedono l'invio di militari in Niger e in Ciad, e coinvolgono l'Italia, la Francia, la Germania e la Spagna. La questione è di quelle delicate che agitano la politica. Ma già ieri, alla luce delle dichiarazioni post vertice a Parigi, il vice ministro degli Esteri Mario Giro ha dichiarato: «Siamo arrivati a un punto nel quale non ci si può tirare indietro. Non spetta a me decidere se inviare degli uomini in Africa. Di certo, però, posso dire che si sta valutando la possibilità di una missione militare. Del resto quei popoli hanno bisogno di formazione, di training. E' importante tenere un atteggiamento che sia simile a quello avuto con il Libano. I nostri soldati avranno il compito di aiutare le forze di quei paesi verso la stabilizzazione. Non possiamo permetterci una nuova Libia».

L'INTERVENTO
Una richiesta di aiuto è arrivata dal presidente del Ciad durante l'incontro a Roma. Il contingente militare potrebbe essere collocato nel Niger settentrionale, e potrebbero essere necessari almeno 500 uomini. Lo Stato maggiore della Difesa sta studiando da tempo l'eventuale piano, anche se dal governo Gentiloni la decisione tarda ad arrivare. Di militari in Africa e di addestramento delle guardie di confine libiche si parla da maggio, dopo l'incontro al Viminale del ministro Minniti con le tribù del Sud della Libia, i Suleiman e i Tuareg. Insieme con il collega Thomas de Maizière i due ministri avrebbero chiesto a Bruxelles di autorizzare la spedizione, in modo da avviare «programmi di sviluppo per le comunità lungo la frontiera tra Libia e Niger», e di dare «assistenza tecnica e finanziaria agli organi libici incaricati di contrastare l'immigrazione clandestina», aiutandoli a rendere più rapida l'identificazione dei migranti. Un progetto soprattutto umanitario, con il fine ultimo di contrastare i trafficanti di uomini, che troverebbe la sua base in Niger, per la resistenza dei governi libici ad avere la presenza di forze straniere sul territorio. Nella zona è presente da tempo un contingente europeo, chiamato Eucap, che ha il compito di insegnare alle polizie locali le tecniche di azione, fornendo anche dei mezzi. La Ue ha messo a disposizione 610 milioni di euro, la Germania 77, l'Italia una cinquantina.

Va detto, però, che il nostro paese è già presente in quelle zone: in Libia, a Sirte, con la missione segreta autorizzata dal governo e guidata dall'Aise (il servizio segreto esterno), contro lo Stato islamico. Sono impiegati uomini del Reggimento Col Moschin, del gruppo operativo incursori del Comsubin, del gruppo intervento speciale dei carabinieri e incursori dell'aeronautica militare. Nel Corno d'Africa, invece, vengono svolte funzioni di contrasto al terrorismo e alla criminalità, in Somalia c'è la missione europea di addestramento Eutm, assegnata da febbraio del 2014 al comando italiano. E ancora: nel Darfur è in atto l'operazione Unamid, in Mali Minusma e la più recente European union training mission. Militari italiani in Sud Sudan, in Niger e in Repubblica Centrafricana.

I CENTRI
Tutto questo mentre si lavora sull'altro fronte, quello dell'apertura dei centri di accoglienza nelle zone al confine con la Libia. L'Oim, che insieme con l'Unhcr, avrà il compito di gestirli, spera che si riuscirà a chiudere al più presto quelli esistenti. Ne hanno visitati 20 su 34, gestiti dal governo di Fayez al Serraj, e ritengono che le «condizioni di vita siano inaccettabili». «Entriamo nei campi due volte a settimana - spiega Flavio Di Giacomo, portavoce dell'Organizzazione dell'Onu - Portiamo coperte, lenzuola, kit igienici e altro. Le condizioni sono disumane. Bisogna lavorare per la creazione di centri aperti, dove le donne e i bambini abbiamo spazi separati dagli uomini. E l'attività deve puntare anche a rafforzare i programmi di ritorno volontario umanitario dalla Libia ai paesi di origine. Nel 2017 ne abbiamo effettuati 6900 e si spera di riuscire ad aumentare il numero. La cosa più importante, però - conclude Di Giacomo - è lavorare sulla community stabilization del sud del paese, dove ci sono anche molti sfollati interni libici che hanno bisogno di assistenza. La stabilizzazione non è una cosa che si fa dall'oggi al domani, e per poter lavorare in sicurezza è necessario avere una situazione di stabilità politica, che al momento non c'è, anche se ci auguriamo che ci si riesca ad arrivare».

Ultimo aggiornamento: 19:42