Andrea Tirali, l'architetto "tiranno" che anticipò il neoclassicismo europeo

Mercoledì 3 Gennaio 2018 di Alberto Toso Fei
Andrea Tirali (1657-1737) - illustrazione di Matteo Bergamelli
Di sicuro non era bello (una cronaca del tempo lo descrive anzi come “piccolo e grasso”), e probabilmente non è un caso se non siano giunte fino a noi sue immagini conosciute. Con altrettanta certezza si può affermare che non fosse particolarmente simpatico: facile a vantarsi, aveva un carattere così brutto che le sue maestranze – in assonanza col cognome – lo avevano soprannonimato “il Tiranno”. Malgrado ciò, a Venezia moltissimi luoghi parlano di Andrea Tirali, l'architetto che anticipò il neoclassicismo europeo, forse meno ricordato di altri suoi colleghi proprio a causa della sua scostanza.

La sua opera, ispirata dal Palladio, si ritrova anche lungo le sponde del Canal Grande, dove alcune famiglie tra le più prestigiose lo chiamarono a costruire o rivisitare i loro palazzi: Ca' Manfrin Venier, Ca' Emo Diedo, Ca' Sagredo, nella quale rifece lo scalone monumentale; ma è forse nella costruzione di edifici sacri che Tirali diede il meglio di sé, edificando la facciata di San Vidal e quella dei Tolentini, il santuario dell'Apparizione a Pellestrina e il campanile dei Santi Apostoli, la Scuola dell'Angelo Custode (oggi Chiesa Evangelica, sempre ai Santi Apostoli) e il sontuosissimo monumento Valier a San Giovanni e Paolo. E poi, ultimi ma non ultimi, il ponte dei Tre Archi e il disegno della pavimentazione di Piazza San Marco.

E poi la terraferma, dove appose la sua firma su Villa Morosini a Fiesso Umbertiano (poi Vendramin Calergi, attuale municipio della località del rodigino) oltre all'ampliamento di Villa Duodo a Monselice, conosciuta per il celebre santuario delle sette chiese, terminato dopo la sua morte: Andra Tirali si spense nella località del padovano il 28 giugno 1737.

​Andrea Tirali (1657-1737) - illustrazione di Matteo Bergamelli

Nato a Venezia nel 1657, di lui si sa molto poco; di origini umili, in gioventù fu tagliapietre e muratore: si formò probabilmente come autodidatta seguendo i lavori di Baldassare Longhena; malgrado si sappia molto poco delle sue opere giovanili, divenne viceproto del Magistrato alle Acque nel 1688 e proto sei anni più tardi: iniziò occupandosi di progetti di sistemazione idraulica ma finì per dare un segno personalissimo all'architettura di quel periodo. La sua opera è ritenuta il punto di passaggio tra la cultura barocca e quella classicista, destinata a diventare neoclassica alla fine del Settecento.

La svolta arrivò verso il 1690, quando a sorpresa vinse il concorso per la realizzazione della cappella di San Domenico a San Zanipolo; da allora, nonostante il brutto carattere che gli aveva meritato l'appellativo di “Tiranno”, la sua carriera fu in continua ascesa. Il prestigio del quale si ammantò gli spalancò le porte dei migliori circoli intellettuali della città. Forse fu proprio il fatto di essersi affermato nonostante le origini umili che generò in lui quegli atteggiamenti di straffottenza che lo resero così inviso ai suoi contemporanei.

A lui si deve anche l'edificazione di Ca' Diedo a Santa Fosca; anzi, sulla costruzione del palazzo si racconta un aneddoto che narra come Tirali fu vittima della sua stessa vanagloria. Licenziato dal nobile Francesco Grimani, probabilmente proprio a causa del suo caratteraccio, Tirali aveva improvvidamente annunciato la sua intenzione di vendicarsi dell’affronto, facendo di Palazzo Diedo – appena commissionatogli – una costruzione talmente imponente “da far ombra” a Ca’ Grimani. Detto fatto: Ca' Diedo, appena sorta, con la sua mole sovrastava ogni altro edificio dei dintorni.

Grimani non sembrava aver accusato il colpo; aveva anzi fatto convocare il Tiranno e “con molte cortesie e finezze” l’aveva infine convinto a imbarcarsi con lui e con altre persone per fargli vedere certi lavori. Tirali, vanitoso e imprudente, aveva facilmente abboccato. Ma giunta che fu la barca in un luogo isolato della laguna, in prossimità di una secca, il patrizio aveva impugnato una pistola, intimando all’architetto – fra le risate generali – di scendere dall’imbarcazione se ci teneva alla pelle. “Il Cativello pieno di spavento sbalzò fuori della barca”, raccontano le cronache, mentre Grimani si allontanava e la marea iniziava a crescere. Quando l’acqua raggiunse un livello preoccupante, ma soprattutto “dopo molti gridi, pianti e sospiri”, un'altra barca mandata dal nobile trasse in salvo Tirali, riportandolo a Venezia.
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