Fusinato, il poeta che si oppose agli austriaci

Domenica 17 Marzo 2024 di Alberto Toso Fei
Fusinato, il poeta che si oppose agli austriaci

VENEZIA - Il morbo infuria, il pan ci manca, sul ponte sventola bandiera bianca".

Perfino Franco Battiato ha reso celebri questi versi, inserendoli nel suo fortunatissimo album "La voce del padrone". Non tutti forse ricordano però che si tratta della parte finale de "L'ultima ora di Venezia", un poema che Arnaldo Fusinato, difensore della città durante l'assedio austriaco del 1848-49, scrisse a poche ore dall'inevitabile resa.

LA STORIA

E come spesso accade, pur avendo Fusinato legato per sempre le sue gesta e il suo verso più celebre - di lui poeta - a Venezia e alla laguna, lui tra le calli non era nato, e nemmeno abitò mai con stabilità.
Figlio di un avvocato originario di Arsiè, Giovanni Battista Fusinato, e di Rosa Maddalozzo, nacque a Schio - nel vicentino - il 25 novembre 1817, e dopo i primi studi al collegio "Cordellina" di Vicenza e poi a quello padovano dei Nobili si laureò in giurisprudenza presso l'Università di Padova nel 1841. Nello stesso anno pubblicò a Udine - dopo una lunga frequentazione al Caffè Pedrocchi di altri poeti, come Aleardo Aleardi e Giovanni Prati - la sua prima raccolta di poesie. Nel 1840 era entrato a far parte dell'Accademia dei Filoglotti a Castelfranco.
Già ai tempi dell'università finì sotto le attenzioni della polizia austriaca per la sua attività patriottica: nel 1839 si batté a randellate contro alcuni militari croati; fu ferito alla gola, ma riuscì a fuggire. Nel 1847, a Vienna, improvvisò strofe contro l'Impero durante un banchetto di ufficiali italiani e ungheresi della guardia nobile. Il '48 era alle porte: allo scoppio della Prima guerra d'Indipendenza, sospesa una poco convinta attività di praticantato presso lo studio del padre, Fusinato costituì a Schio un "Corpo franco di Crociati", col quale compì diverse azioni, inclusa la difesa di Vicenza assediata.
In quei giorni compose il "Canto degli insorti".
Perduta Vicenza, dopo un breve esilio tra Ferrara, Genova e Firenze, Fusinato raggiunse Venezia e nel 1849 prestò servizio come tenente nei "Cacciatori delle Alpi" di guardia all'Isola del Lazzaretto Vecchio e nella difesa di Marghera. Il 22 agosto di quell'anno, poco prima della capitolazione, scrisse quei versi destinati ad eternarlo. Caduta Venezia, si stabilì nuovamente a Schio con la moglie - la contessina Anna Colonna, che aveva sposato durante l'assedio - ma, dopo la morte per tubercolosi della compagna, nel 1852, si trasferì a Castelfranco presso la suocera.
Da questo momento in poi si accrebbe la sua fama di poeta, divenendo anche oggetto di critiche feroci - forse dettate più da invidia che da considerazioni di carattere letterario - di chi ne contestava la popolarità a fronte di una metrica facile e canterina e di soggetti semplici; fu definito "l'uomo più di moda di tutta l'Italia".
Un destino curiosamente simile a quello di diversi "influencer" moderni. Lui fece tutto fuorché perdersi d'animo: nel 1853 pubblicò la prima edizione delle sue poesie raccolte in due volumi; tra il 1855 e il 1857 scrisse versi su riviste femminili quali il "Corriere delle dame" e "La Ricamatrice". Nel 1856 si risposò, a Venezia, con la poetessa Erminia Fuà, con la quale ebbe il figlio Guido quattro anni più tardi, e poi la figlia Teresita.
Non si fece mancare nemmeno collaborazioni importanti, come quella con Giuseppe Verdi, per il quale tradusse dal francese "I vespri siciliani" per una rappresentazione a Parma. Continuò a essere sospettato dalla polizia, e a ragione: scriveva di nascosto versi irredentisti e organizzava i comitati veneti clandestini.
Emigrato a Firenze, frequentò soprattutto gli emigrati veneti, tra i quali Niccolò Tommaseo. Dopo l'annessione del Veneto al Regno d'Italia rifiutò la candidatura nei collegi di Schio, di Castelfranco e di Feltre. Nel 1874 si traferì a Roma dove finì per dirigere l'ufficio di revisione dei verbali del Senato, essendo in difficoltà finanziarie.
Dieci anni più tardi, dopo la morte di Erminia, seguì la figlia a Udine e Verona, dove si era trasferita per seguire il marito, cassiere della Banca nazionale. Morì a Verona il 28 dicembre 1888 e fu sepolto a Roma, al cimitero del Verano, accanto a Erminia.

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