Piccoli, il casaro visionario: «Insegno ai giapponesi a fare ricotte e robiole»

Giovedì 14 Dicembre 2023 di Mario Anton Orefice
Carlo Piccoli

VITTORIO VENETO - Il Montasio Hokkaido non s'incontra nei libri di Stefano Benni o nei monologhi di Alessandro Bergonzoni, ma esiste davvero in Giappone, ed esistono anche il latteria e la robiola di Fukuoka. Il merito è tutto di un maitre fromager nostrano, Carlo Piccoli, che a Formeniga, piccola frazione del comune di Vittorio Veneto, dirige l'Accademia internazionale dell'arte casearia.

Dal 2012 a oggi ha insegnato i segreti del mestiere a circa 2000 allievi, 1500 italiani e 500 provenienti da 70 paesi del mondo.

L'ESPERIENZA
«Sono stato circa venti volte a Tokyo e in altre città del Giappone chiamato dalla Carpigiani per dei corsi sull'uso dei pastorizzatori e la produzione dei formaggi - racconta - devo dire che mi ha fatto un certo effetto la versione nipponica di nomi legati alle nostre terre. In Ungheria sono stati più fantasiosi.
Il proprietario di una catena di supermercati per il quale ho organizzato dei corsi, è un devoto di Padre Pio e ha battezzato il suo formaggio "Padre Pio Sajt" con l'immagine del santo sull'etichetta». È un giorno di novembre, dal giardino dell'Accademia in cima alla collina di Formeniga, nelle giornate serene lo sguardo può spaziare dal Golfo di Trieste a Venezia.
Nel laboratorio Carlo è circondato dagli allievi che partecipano a uno dei suoi corsi settimanali, cinque giorni tra yogurt, robiole, paste molli, semicotti, gessati, erborinati, business plan, impiantistica.

LE LEZIONI
Si parla anche di coagulazioni lattiche in stile francese, di carbone vegetale massaggiato, di temperature, di croste lavate e altre già muffettate, di mozzarella cordata che nel giro di tre giorni diventerà morbida, quasi una crema, e della robiola ancora influenzata dal siero, del suo grado di maturazione, «quando la capra è abbastanza consistente si può manipolare a pyramide, a sfera, a forma di cuore, oppure si può insaporire con l'aglio».
Se la robiola è di vacca, invece, si può sentire la ricotta. «Ottima anche quella di pecora - aggiunge Carlo. Una mia allieva, che ha un piccolo allevamento qui sulle Prealpi, con 25 litri di latte al giorno, incassava circa 3000 euro vendendo yogurt, robiole e piccole forme di formaggio».

SAN PANCRAZIO
La conversazione si sposta sul San Pancrazio, un formaggio realizzato con semplicità che ha venti mesi. La sua crosta è stata "spazzolata" e lavata dagli "apprendisti stregoni", l'odore non è ancora molto forte ma con un pizzico di sale e altri lavaggi acquisterà sapidità.
«Mi sono immedesimato in un monaco, nel Medioevo solo i monasteri avevano le vacche - racconta Piccoli - sono andato alla ricerca di testi sull'argomento e poi ho immaginato come avrei fatto con pochi mezzi a disposizione: scarse quantità di latte molto ricco di grasso e di carica batterica e una tela bagnata di acqua e sale. L'ho chiamato con il nome del santo protettore della chiesa di Formeniga, che una volta era qui nel mio giardino, poi con il terremoto del 1873 è stata ricostruita più su.
Un altro formaggio a cui tengo molto è il Ludovico. Un omaggio al mio maestro nel caseificio Perenzin. È stato lui, nato nel 1911, formatosi alla scuola di Lodi negli anni Trenta, casaro in Lombardia e Piemonte, a portare una piccola rivoluzione nelle nostre zone. Produceva un formaggio pastoso, del tutto differente da quelli duri e stagionati ai quali eravamo abituati, una sorta di brie, più morbido del latteria, fondente come un pannarello. In più era redditizio: aveva maggiore resa, un costo basso e la gente ne mangiava di più».

GLI ESORDI
La straordinaria avventura di Carlo Piccoli inizia nel 2010: «Andai in Messico con l'Associazione Famiglie Rurali di Vittorio Veneto per un corso lattiero-caseario finanziato dal Ministero del Lavoro dedicato agli italiani all'estero; in particolare alla comunità di Chipilo, un villaggio fondato nel 1882 da 400 emigranti veneti, quasi tutti provenienti da Segusino, Quero e Valdobbiadene, e dove ancora oggi si parla un idioma veneto-castigliano. Una lingua straordinaria immortalata da Eduardo Montagner Anguiano nel suo volume "Ancora fon ora". Una vita dura passata ad allevare vacche per 130 anni e a fare lo S-chec, il formaggio segusinese».
«Ho conosciuto vecchi - continua Piccoli - che portavano di corsa il latte appena munto nella stalla, per lavorarlo in stanze con una lampadina, un banco di scarico e sette bidoni di plastica, poi lo salavano e caricavano le formine sul furgone per venderle al mercato di Puebla. Dopo diversi viaggi insieme a Silvano Possagnolo di Famiglie Rurali ragionammo sull'opportunità di creare una scuola in Italia. Fu lui a suggerirmi il nome Accademia internazionale dell'arte casearia. Il primo corso si svolse nel 2012, poi dal 2016 al 2017 arrivò il mondo. Quello che insegno oggi è il frutto di vent'anni di esperienza e di formazione continua».
 

Ultimo aggiornamento: 15 Dicembre, 10:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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