Un veneto nel film di Salvatores: «I miei mesi nella bolla artica mentre l'Italia era in lockdown»

Lunedì 4 Gennaio 2021 di Angela Pederiva
Un veneto nel film di Salvatores: «I miei mesi nella bolla artica mentre l'Italia era in lockdown»

Quando in Italia Fuori era primavera, nelle isole Svalbard il termometro arrivava anche a 50 gradi sotto lo zero. «Ma dopo cinque mesi di buio totale, finalmente era cominciata l'alternanza fra notte e giorno, in attesa di altri cinque mesi di luce perenne, per cui vedevo la vita riprendere forma e colore, senza l'incubo del Coronavirus»: a parlare è Marco Casula, 29enne che abita a Marcon ma è nato a Mestre, dove lavora all'Istituto di scienze polari.

Il tecnico del Consiglio nazionale delle ricerche si trovava infatti in missione nella base artica di Ny-Ålesund, a mille chilometri dal Polo Nord, mentre qui la paura svuotava le piazze e la resilienza riempiva le case, come raccontato nell'emozionante docufilm collettivo diretto da Gabriele Salvatores, andato in onda l'altra sera su Rai3, che dedica diversi frammenti proprio al giovane inviato in Norvegia per studiare i cambiamenti climatici attraverso la neve.


FRA I GHIACCI

I canti sui balconi e gli scafandri dei sanitari, le serrande abbassate e la didattica a distanza, gli arcobaleni alle finestre e i bollettini dei contagi. Fra le tante immagini del lockdown, il premio Oscar ha voluto inserire anche i video dell'unico italiano che in quel periodo viveva nella bolla Covid-free della stazione Dirigibile Italia, così chiamata in omaggio alla spedizione di Umberto Nobile alla conquista dei ghiacci. «Un'area racchiusa nel perimetro di un chilometro e distante un'ora di volo dalle prime case spiega Casula in cui stavo con una trentina di colleghi da tutti i continenti. Fra loro c'era anche un cinese, che già all'inizio di febbraio mi parlava di questo virus e mi metteva in guardia dai suoi effetti, tant'è che avevo subito avvisato i miei genitori. Quando poi è scoppiata la bomba in Italia, quella piccola comunità mi si è stretta attorno come una grande famiglia. Attraverso la Rete mi tenevo informato su quanto accadeva prima nel mio Paese e poi in tutto il pianeta: i ricoveri, i decessi, le restrizioni. Mi faceva strano sapere che, malgrado fossi in uno dei posti più isolati al mondo, dove occorreva girare con le torce frontali per illuminare i sentieri e con i fumogeni per segnalare i problemi, avevo più libertà di movimento e più possibilità di interazione rispetto a milioni di miei connazionali...». 


GLI ORSI E LO SPRITZ

Un semestre probabilmente surreale agli occhi del globo, ma assolutamente autentico nell'esperienza della quotidianità: la verifica delle previsioni meteo, il campionamento del particolato atmosferico e della neve superficiale, gli incontri con gli orsi, ma anche i film su Netflix, gli allenamenti in palestra, gli spritz con il Prosecco arrivato via nave. Una vita incredibilmente normale, per quanto il concetto vada rapportato a una latitudine di 79 gradi Nord, nell'anno più straordinario della storia. «L'arcipelago si è chiuso subito a riccio sottolinea Casula facendo rimpatriare immediatamente i pochi turisti presenti e imponendo una quarantena di dieci giorni ai residenti che ritornavano, naturalmente con obbligo di tampone. Questo ha permesso di non far mai entrare il virus, nemmeno dopo l'estate». Il 29enne è tornato a casa in giugno e ora si ritrova nel Veneto della seconda ondata. «Qui mi sono ricreato la mia piccola bolla artica confida perché ho visto troppa gente cercare la scusa per aggirare le regole. Quando non sono in smart-working, vado al lavoro in laboratorio, esco per fare la spesa e, nei giorni in cui gli spostamenti sono consentiti, passo dai miei genitori per un saluto. Per il resto sto a casa: cucino, guardo qualche film, telefono agli amici. E sogno la mia prossima missione, magari in Antartide...».

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