Padova. Dalla criminologia al gaming, Giulia Zamboni: «Amavo i videogiochi, ora li creo per lavoro»

Domenica 24 Marzo 2024 di Silvia Quaranta
Giulia Zamboni

PADOVA - Giulia Zamboni, padovana classe 1988, è una producer di videogiochi.

Il suo ruolo, difficile da tradurre in italiano, si concretizza nella supervisione generale, gestione e organizzazione di progetti di sviluppo di videogame. Un compito non facile, che per altro vede come protagoniste femminili una manciata di donne in tutta Europa. E Giulia è una di quelle. Non solo: è anche ambasciatrice europea dell’associazione “Women in Games”, un ruolo che la porta a supportare in vari modi le colleghe o aspiranti tali. Alle spalle, Giulia ha già più di 15 titoli pubblicati, tra cui alcuni che hanno spopolato in tutto il mondo. La sua carriera, tuttavia, inizialmente non è stata lineare come si potrebbe pensare.

Com’è iniziata?
«Diciamo che l’inizio è stato particolare. Dopo il diploma al liceo classico ho studiato Giurisprudenza, specializzandomi in criminologia, quella è sempre stata una mia grande passione. E per un paio d’anni ho lavorato come investigatrice privata qui a Padova».

Lavorava per amanti traditi?
«In verità no. Tutti pensano che gli investigatori privati si occupino soprattutto di questo, ma nella realtà si incontrano storie molto, molto più singolari».

E poi come ci si trasforma da investigatrice a producer di videogiochi?
«Nel 2013 ho incontrato Alberto Belli, già veterano del settore, che al tempo stava fondando, insieme ad altri due soci, lo studio “Storm in a Teacup”. Alberto era fermamente convinto della necessità di un producer anche per un team appena nato, che è un ruolo fondamentalmente organizzativo, e io mi sono trovata, diciamo, nel posto giusto al momento giusto. L’organizzazione è sempre stata un’altra mia grande passione e così mi sono gettata a capofitto in questo nuovo progetto. Avevo già delle competenze gestionali, ma altre naturalmente mi mancavano. Poi la relazione con “Storm in a Teacup” è durata meno di due anni, ma è continuata quella con Alberto, che è diventato il mio compagno, e anche quella con il mondo gaming, che è diventato definitivamente il mio lavoro».

Ma l’amore per i videogiochi c’è sempre stato o l’ha scoperto nel tempo?
«Assolutamente c’è sempre stato! I miei primi giochi sono stati su pc: uno si chiamava “Croc” e c’era un piccolo coccodrillo che doveva salvare delle palle di pelo. Poi “Tonic Trouble”, “Crash Bandicoot”, “Tomb Rider”, “Grand Theft Auto”. Naturalmente giocavo anche con il Gameboy e altre console che erano molto diffuse ai nostri tempi».

Parliamo invece dei giochi nuovi, di cui lei è stata producer.
«Il battesimo del fuoco, ancora al tempo di “Storm in a Teacup”, è stato con “N.E.R.O.-Nothing Ever Remains Obscure”. Il protagonista percorre un viaggio in un mondo sognante, fatto di luci fluorescenti, grotte oscure, deserti e suggestivi palazzi. L’uscita di quel gioco è stata segnata dal contratto con Microsoft, che ci ha permesso di volare a Los Angeles per l’Electronic Entertainment Expo del 2014, una delle maggiori fiere di settore al mondo. Quello è stato un debutto incredibile, da un giorno all’altro ci siamo trovati a presentare il nostro gioco al pubblico e alla stampa internazionale».

Altri successi?
«Dopo “Nero”, il gioco che mi ha dato di più è stato “Alaloth: Champions of The Four Kingdoms”, un gioco di ruolo molto complesso e particolare sviluppato con Gamera Interactive, che raggiunge le 100 ore di gioco ed è già molto amato dal pubblico internazionale».

Di cosa parla?
«È un gioco fantasy, l’obiettivo è sconfiggere Alaloth, appunto, che è un demone intenzionato a distruggere il mondo. La produzione è stata molto lunga e faticosa, con infiniti imprevisti, poi nel mezzo è anche scoppiata la pandemia che ha ovviamente rallentato tutto. Il gioco è stato venduto in tutto il mondo e viene aggiornato costantemente tutt’ora, regalando sempre nuovi contenuti ai giocatori».

In questo periodo di cosa si occupa invece?
«Sono rientrata all’inizio dell’anno dal Regno Unito, dove per un certo periodo ho lavorato come lead producer in Supermassive Games, uno studio noto per i suoi giochi di stampo cinematografico, in particolare la saga di “The Dark Pictures”, giocata e seguita da milioni di persone. Da gennaio sono tornata in Italia per entrare in Stormind Games, siciliano di spessore internazionale, specializzato in giochi che puntano molto sul forte impatto visivo e sulle atmosfere coinvolgenti».

Ma lei da giocatrice con cosa si diverte?
«Ora che i videogiochi sono il mio lavoro, in realtà, ho molto meno tempo per “giocarci” davvero, li uso più che alto per test e valutazioni. Dovendo citarne uno con cui io e Alberto ci siamo divertiti tanto mi viene in mente “Hogwarts Legacy”: sono una fan dei romanzi, e devo dire che il gioco è fatto molto bene. La cosa bella dei videogiochi è che ce ne sono per tutti i gusti e che non si è mai troppo grandi per divertirsi».

Ultimo aggiornamento: 17:02 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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