L’immagine di Venezia nel mondo corre, imperversa, occupa spazi ovunque con le sue bellezze, i suoi monumenti, la sua realtà magica che nasce dall’acqua e sull’acqua corre (anche se mano umana stolta la stravolge oggi sull’orlo del confine alterato, portato a espandersi sulla terraferma che non è mai stata territorio veneziano). Preferisco pensare a Venezia com’era , com’è sempre stata: un miracolo dell’acqua sulla quale fa galleggiare l’invenzione umana estrema che è la sua realtà galleggiante da secoli. Questa è Venezia, con la sua storia, il suo passato lambito dalla laguna ( sempre considerata il nemico-amico da non provocare, da tenere a bada, da assecondare o frenare secondo le necessità e l’evidenza. L’interesse costante dei Veneziani nei secoli per la tenuta della laguna ci dice quanto sapessero che bisogna amarla e temerla. Oggi si preferisce adoperarla, sfidarla, utilizzarla come elemento “turistico”, come volgare bancomat. Rivedere in questi giorni le grandi navi a due passi da noi è stato un insulto che non ha giustificazioni. Curioso e aberrante mettere sullo stesso piano la sopravvivenza di famiglie che hanno bisogno di lavorare con il porto (che funzionante con modalità pertinenti otrebbe essere gestito in modi meno rovinosi per Venezia) e la sopravvivenza di Venezia, realtà irripetibile, patrmonio dell’universo intero. Un posto di lavoro , diritto sacreosanto di ogni essere vivente, può venire reperito in vari modi e in vari luoghi, sta alla volontà e all’intelligenza di una classe dirigente inventarsi formule e modi che consentano questa realtà che è un diritto. Si trova il modo per andare incontro ai bisogni di una popolazione che cerca di far valere il diritto di lavorare, e non si trovano soluzioni che garantiscano un posto di lavoro a pieno diritto senza per questo sacrificare Venezia, lasciarla morire, spegnere una fiamma di cultura mondiale che chiede di essere difesa. E le grandi navi, piaccia o no ai sostenitori di questa realtà , sono il pericolo per la sopravvivenza di Venezia.
Mesa da parte questa annosa polemica che ci si augura non debba concludersi con qualche sorpresa tragica ... vorrei parlare di un evento che ha contribuito a segnare il ritorno alla vita così’ come la vivevamo prima del Covid, in quella Venezia vera che, con tappe ora qua e ora là, la Delegazione di Venezia dell’Accademia Italiana della Cucina ha contribuito a farci vivere , offrendo appuntamenti nei luoghi più caratteristici, consentendoci di apprezzare un patrimonio di cultura che si affianca a quella artistica, letteraria, storica della Venezia vera per diventare qualcosa che ci è vicino, ben presente ancora oggi nel nostro quotidiano. Con intuito e rispetto per la cultura veneziana, gli accademici della cucina hanno aderito alla proposta di Rosa Maria Lo Torto , presidente della Delegazione veneziana : donna colta e apprezzata per la signorilità che accompagna la sua conoscenza squisita , eleggendo come tema da svolgere per l’annata in corso una rivisitazione degli orti famosi di Venezia. E quali più veneziani degli orti che animano le isole della laguna?
Questa volta è stato il turno di Burano, terra di grande affluenza di artisti che nella seconda metà del Novecento hanno fatto di quest’isola un punto d’incontro artistico e letterario tra i più singolari. A Burano approdavano pittori e artisti di ogni paese, intenzonati a fissare sulla tela momenti staordinari di quest’isloa dove il verde degli orti si fonde con il verde della laguna.
Approfittando dell’apertura alla vita dopo l’isolamento dovuto alla pandemia - che ci ha rubato due anni di vita - in un giorno di nuovo sole, l’Accademia Italiana della Cucina ha portato i suoi soci veneziani in uno dei ristoranti di Burano più famosi (Al “Gatto nero”) dove il ricordo di grandi firme di artisti che hanno immortalato Burano parla dalle pareti coperte di quadri e disegni preziosi. Il patron, lo chef Ruggero -coadiuvato da moglie (cuoca sublime) e figlio (sommelier che ha fatto apprezzare anche il vino dell’”Orto” di Burano) ha preparato - consultandosi con Rosa Maria - un menu prelibato interamente a base di pesce che ha “impegnato” - disponibili e felici... - gli ospiti a tavola fino a metà pomeriggio. Un tuffo nella cultura gastronomica più verace che l’Accademia della Cucina ha saputo accompagnare - frugando tra vecchie pubblicazioni - con un ricordo verace del tempo degli artisti a Burano scritto da Orio Vergani, fondatore tra l’altro dell’Accademia Italiana della Cucina. E’ una simpatica “Ode ai Buranelli”, firmata dal giornalista che l’Italia d’antan della bona tavola ricorda anche come fondatore del famoso “Premio Bagutta” a Milano. : “Burano è bella, e il campanil pendente è bello pur , e meglio è la cucina, bella la piazza e bella è la silente quiete dell’acque che la riva inclina...
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