«Mi chiamo Bekér e sono diventato il re della griglia»

Fabrizio Nonis, lo chef, nato in Canada, ha radici a Cinto Caomaggiore e dal 2001 è presenza fissa in televisione nei programmi di gastronomia. Ora ha scritto in libro

Domenica 28 Aprile 2024 di Claudio De Min
«Mi chiamo Bekér e sono diventato il re della griglia»

Lo sapevate che il Brasile è il primo esportatore al mondo di carne bovina (quasi 3 milioni di tonnellate); che il 25 per cento dei capi bovini allevati sul pianeta sono brasiliani, e che in quello sterminato paese la carne è praticamente, da sempre, una religione gastronomica? Che la prima stella Michelin in Italia venne assegnata nel 1959 al ristorante Clinica Gastronomica Arnaldo di Reggio Emilia che, a distanza di 65 anni, la detiene ancora orgogliosamente? Che un uovo di struzzo equivale a 24 uova di gallina e che la carne di struzzo ha la metà del grasso rispetto al pollo? E che una delle carni considerate più buone in assoluto è quella sudafricana - del Kudu, una grossa antilope che può pesare fino a 350 chili?
E che, sempre in Sudafrica, le bistecche di Springbok, l'animale simbolo del paese, vanno per la maggiore? Per non parlare del Bar Diplomatico che, nel 1968, divenne famoso a Toronto - in Canada - con un modello di ristorazione innovativo, il primo e probabilmente unico - ristorante al mondo senza cucine: i piatti venivano preparati dalle donne nelle case adiacenti e portati, fumanti, ai tavoli dei clienti: fu la scoperta e il trionfo della cucina italiana.


LA RICERCA
Tutto questo, e molto altro, nelle 180 pagine di "Parola di Bekér" di Fabrizio Nonis (ed. Fontego delle farine): «Dopo 10 anni dal mio libro precedente spiega l'autore - avevo voglia di tornare a scrivere e, soprattutto, di parlare dei miei viaggi, delle emozioni e delle esperienze che il contatto con altri mondi, altri popoli e altre culture, mi hanno regalato e delle quali faccio sempre tesoro. Sia nella vita di tutti i giorni, sia nel mio lavoro e in particolare nel rapporto con la carne che è la mia grande passione. Il viaggio, infatti, mi ha arricchito ed ora quando penso alla carne lo faccio seguendo un'idea multietnica ed etica allo stesso tempo».
Dal Canada al Marocco, dalla Thailandia al Sudafrica, dalla Gran Bretagna alla Turchia, il libro è racconto di popoli e abitudini, di umanità e passione, di sorprese e colpi di fulmine gastronomici, e non solo.


LA BIOGRAFIA
Nonis, classe 63, oggi per tutti el "Bekér", nasce in Canada, da piccolo gioca a baseball ed hockey (poi diventerà tifoso dell'Inter), è un po' veneto e un po' friulano, figlio d'arte (padre macellaio, nonno "casolin", madre italo-svizzera appassionata di cucina) e macellaio a sua volta (a Cinto Caomaggiore, provincia di Venezia al confine con il Friuli Venezia Giulia), e poi docente all'Università dei Sapori di Perugia. E, dal 2001, anche giornalista e comunicatore gastronomico, ideatore di eventi e fiere, presentatore e testimonial ambassador per il Brasile, Marocco, Veneto e Friuli Venezia Giulia, e per la settimana mondiale del food italiano a Bangkok, in Thailandia.
Popolarissimo volto televisivo (Gambero Rosso Channel, Canale 5, Rai1 e TG2, Alice Tv e oggi Discovery, dove propone il suo nuovo Viaggio in Friuli Venezia Giulia, con "Parola di Beker") Nonis scende nuovamente in campo, certamente per raccontarsi e rendere omaggio alla sua storia, alla famiglia, al destino di immigrato, uguale a quello di milioni di italiani, ma anche per difendere la carne, cioè il suo mondo, la sua passione, la sua ragione di vita.


I GIUDIZI
Di lui, Paolo Marchi, giornalista gastronomico, guru del gusto, fondatore di Identità Golose, scrive: «Fabrizio rientra nella categoria di persone classificabili come "forze della natura", quei personaggi che non si fermano mai, che pensano e agiscono anche quando dormono (dormono?), che sembrano non staccare mai perché è dal lavoro e dall'impegno che traggono la loro vera ragione di essere e di realizzarsi. Ambasciatore non di se stesso, ma della sua più grande passione: la carne».
"Parola di Bekér" è un libro appassionato ed emozionale, ma anche didattico, divulgativo, pensato per fare scuola, insegnare la carne, spiegare come sceglierla (e distinguerne la qualità) e cucinarla, come e con che cosa cuocerla e tagliarla, distinguere i tagli (decine), suggerire le cotture (innumerevoli) e i posti giusti, ristoranti e trattorie (noti e meno noti), e macellerie (un'ottantina di indirizzi in tutto) dove, fra Veneto e Friuli Venezia Giulia, gli appassionati possono andare a colpo sicuro, affidandosi a osti e macellai esperti e competenti, trovando cotture impeccabili, materia prima di qualità, consigli giusti e autorevoli.


LA RIFLESSIONE
Ma anche far capire come ciascuno di noi, nel suo piccolo, possa contribuire a rendere meno impattanti gli allevamenti: «Se la gente la smettesse una buona volta di chiedere e consumare sempre gli stessi tagli, se dell'animale si utilizzasse tutto, si potrebbe tranquillamente ridurre il numero di capi allevati e, quindi, anche l'impatto sull'ambiente. Non esiste solo il filetto e non è più tempo di sprecare carne né acqua, le risorse sono limitate, se le cose vanno in un certo modo la responsabilità è anche di un consumatore spesso superficiale, poco informato, distratto e pigro. Se tutti facessimo la nostra parte il mondo sarebbe migliore. E in più si tutelerebbero i piccoli allevatori che mettono anima e corpo del loro lavoro».
Infatti sono tempi in cui la carne viene demonizzata e Nonis, ovviamente, contrattacca, ma sempre con garbo: «Non sarò certo io a negare che esistono metodi di allevamento deprecabili.

Ma la carne, se buona, etica, ottenuta da animali allevati con cura e rispetto e allo stesso modo macellati, e se consumata con moderazione, ha proprietà importanti per il nostro organismo». Nonis insiste: «La totale eliminazione dell'allevamento del bestiame viene vista come un trionfo dai protettori degli animali e dagli ambientalisti. Ma davvero fare a meno della carne e far sparire la zootecnia sarebbe la soluzione di tutti nostri problemi ambientali? Sono davvero loro i più grandi inquinatori o non piuttosto le industrie e i combustibili fossili?».


L'ESPERTO
A supporto di una tesi, certamente di parte, e condizionata dall'amore per la materia, el Bekér propone il punto di vista di Fernando Estellés, docente del Politecnico di Valencia, in Spagna, che da anni si occupa di indagare il reale impatto degli allevamenti sul clima: «Nessuno nega - spiega lo studioso - l'importante emissione dei gas serra che proviene dagli allevamenti ma va ricordato che questa attività procura cibo e che tutti dobbiamo mangiare e che non è certo la maggioranza delle persone che può permettersi costose carni di alta gamma e di piccoli allevamenti. Pertanto dobbiamo tenere conto del fatto che certi impatti sono in qualche modo necessari e inevitabili e con essi dobbiamo comunque convivere. E sapere che ovviamente non tutti gli allevamenti sono uguali, distinguendo quelli pastorali dagli intensivi». Chiude Nonis: «Nessun allevatore è felice di macellare le sue bestie ma se un animale è stato allevato con rispetto e amato anche il suo sacrificio sarà meno doloroso». Parola di Bekér.

Ultimo aggiornamento: 29 Aprile, 09:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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