"Impressioni selvagge", così la Francia celebrò l'arte di Paolo Gioli

Giovedì 10 Febbraio 2022 di Ivan Malfatto
Paolo Gioli si è spento il 28 gennaio a Lendinara

LENDINARA (Rovigo) - «Infaticabile tuttofare dei dispositivi fotografici e cinematografici, Paolo Gioli è una delle figure più singolari emerse dalla scena artistica italiana degli anni ‘70.

Questo libro collettivo considera, per la prima volta, l’insieme dei suoi lavori attraverso gli approcci complementari dell’estetica dei dispositivi e dell’archeologia dei media».

La frase è riportata nella quarta di copertina di “Paolo Gioli, impressions sauvages”, un volume di 440 pagine pubblicato nel settembre 2020 da “Le presses du rèel” a Digione, in Francia. È una delle opere più complete dedicate all’artista rodigino, morto il 28 gennaio a Lendinara a 79 anni. Una sorta di lascito che sarebbe opportuno tradurre e pubblicare anche nel nostro Paese, per approfondire la sua figura. Tra l’altro metà dei saggi critici contenuti è scritta da autori italiani, mentre un’intera sezione è costituita da scritti dallo stesso Gioli, «che sovente ha accompagnato il suo lavoro artistico a testi letterari» annota Erik Bullot.

IL TITOLO
Il significato del titolo “Impressioni selvagge” è spiegato nell’introduzione di Philippe Dubois e Antonio Somaini, curatori dell’opera insieme a Enrico Camporesi ed Èline Grignard. «Nel 1964 l’antropologo Claude Levi-Strauss pubblica un’opera importante intitolata “Il pensiero selvaggio”. Il titolo si basa su un gioco di parole (e immagini). In copertina un’illustrazione riproduce una tavola del XIX secolo che mostra una graziosa pianta fiorita (giallo-viola), una pianta allo “stato selvaggio”, né coltivata, né domestica, ma popolare e conosciuta, che in francese chiamiamo “il pensiero selvaggio” (Viola tricolor il nome scientifico).

Il contenuto dell’opera di Levi-Strauss s’impegna a definire una delle grandi forme antropologiche dell’umanità: il “pensiero mitico”, un pensiero esso stesso allo “stato selvaggio”, che prende in considerazione i miti, i riti e le credenze, un vero pensiero (pre logico, oltre il linguaggio), del quale studiare forme e meccanismi. Questa allegoria del “pensiero selvaggio” (fiore e mito) ci sembra singolarmente appropriata per esprimere ciò che rappresenta per noi l’opera dell’artista italiano Paolo Gioli».

Un artista che i curatori della biografia definiscono «polimorfo, nello stesso tempo visuale (pittore, disegnatore, grafico, ecc.), fotografo (avendo esplorato e ridefinito alcune forme storiche di pratica fotografica come il foro stenopeico, il fotofinish, le Polaroid, la luminescenza, ecc.) e cineasta (imparentato - ma non dipendente - a quello che chiamiamo il “cinema sperimentale”). Un artista che dopo più di 40 anni, non ha cessato di andare e venire liberamente tra queste pratiche, senza alcuna compartimentazione. Uno sperimentatore di forme e saperi, immagini e dispositivi, idee e pulsioni, vita e arte. Uno sperimentatore di tutto, uno sperimentatore nell’anima, che più di tutto ama fare “bricolage delle invenzioni” per produrre un “pensiero mitico” (o almeno poetico). Ciascuna delle sue opere è come un fiore selvaggio». Come quello usato in copertina da Levi-Strauss.


SAGGI CRITICI
Gli undici saggi del libro indagano queste vedute sperimentali. Uno di essi è scritto da Daniele Frangipane, autore di “Cronologie” (Jonan&Levi, 2020), altra biografica dedicata all’artista nato a Sarzano nel 1942.
Le 150 pagine della sezione “Album” mostrano le immagini delle sue opere: assemblaggi di Polaroid, serigrafie, oli su tela, fotofinish che ritraggono, compongono e scompongono corpi, volti, colori, figure geometriche, treni alla stazione e quant’altro colpiva la creatività di Gioli.
La sezione “Avvisi” raccoglie le schede e gli approfondimenti sui film, le fotografie, i disegni, i quadri. Ricca la parte compilativa, dedicata all’elenco di mostre allestite in tutto il mondo e alla bibliografia.

Un vero cameo, infine, è la sezione “Colloquio”. Si tratta di un’intervista di 18 pagine, fra testo e immagini, scaturita da una visita d’eccezione all’atelier di Gioli a Saguedo di Lendinara. È quella fatta nel gennaio 2015 da Anne Cartier-Bresson, responsabile dell’atelier del restauro e della conservazione del patrimonio fotografico della città di Parigi, nonché nipote del mitico fotografo Henri. L’immagine è suggestiva. Henri Cartier-Bresson, artista geniale che attraverso gli occhi e la sensibilità della sua erede ne racconta un altro. Quale miglior omaggio a Gioli?
 

Ultimo aggiornamento: 11 Febbraio, 10:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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