Piano per le periferie, Palazzo Chigi sblocca 2 miliardi ai Comuni: soldi stanziati nel 2016 e mai usati. C'è anche l’ex ospedale Maddalena di Rovigo

Oggi incontro tra Piantedosi e l’Anci per le opere tolte dal Pnrr

Lunedì 14 Agosto 2023 di Francesco Malfetano
Piano per le periferie, Palazzo Chigi sblocca 2 miliardi ai Comuni: soldi stanziati nel 2016 e mai usati

Tra i tecnici che a palazzo Chigi sono alla ricerca di una quadra sul dossier periferie li chiamano «fondi dormienti». Si tratta di poco più di 2 miliardi di euro - stanziati tra il 2016 e il 2017 e già congelati dal governo Conte I - che non sono mai stati spesi a causa di intoppi burocratici o variazioni in corso d’opera. Si va da progetti più iconici come l’abbattimento dell’ultima Vela di Scampia, a Napoli, ad altri meno rappresentativi ma ugualmente centrali nella vita delle città italiane: dalla riqualificazione di alcune aree del quartiere Massimina a Roma o del forte Boccea sempre nella Capitale, fino all’ex ospedale Maddalena di Rovigo e ai capannoni dismessi dell’ex fabbrica Saca a Brindisi. Circa 120 opere (per poco meno di 1700 interventi) per cui, nell’ambito del “programma straordinario per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie”, fino al termine della scorsa legislatura sono stati effettivamente spesi però appena 424 milioni di euro. Nonostante i quattro anni a disposizione in pratica, nelle casse del governo c’è quindi un tesoretto da quasi 1,5 miliardi di euro (137 milioni sono infatti stati spesi nel corso del 2023) che Giorgia Meloni ha tutta l’intenzione di utilizzare il più velocemente possibile.

Tant’è che già da diverse settimane una delegazione tecnica inviata da palazzo Chigi si sposta di cantiere in cantiere, e di Comune in Comune, per individuare i nodi - il più delle volte legati ad autorizzazioni mancanti o ditte inadempienti - che stanno impantanando i lavori, spingendo affinché si arrivi ad una loro accelerazione. 

LE POLEMICHE

Sul dossier però le polemiche non sono destinate a placarsi. Quando oggi si accenderanno gli schermi all’Anci e al Viminale (titolare del capitolo di spesa dei Comuni) per una riunione tecnica in video-collegamento richiesta dai sindaci, questi - rappresentati dal primo cittadino di Bari Antonio Decaro - torneranno quindi a battere cassa. Per di più precisando che quasi il 94,5% dei lavori per cui erano state predisposte inizialmente le risorse europee sono già stati aggiudicati e quindi pronti a passare alla fase operativa. 

Rimostranze a cui però il ministro Matteo Piantedosi, in piena continuità con il titolare del dicastero del Piano nazionale di ripresa e resilienza, risponderà con le medesime rassicurazioni fornite in precedenza. Fitto, che ha incontrato dieci giorni fa i rappresentanti degli enti locali, ha infatti già garantito ai primi cittadini e ai governatori delle Regioni che «nessuna opera sarà definanziata» e che «tutte continueranno ad essere realizzate senza nessuna interruzione». Le modalità sono ancora da individuare - e questa è la principale criticità che non lascia sereni i rappresentanti dell’Anci - ma l’esecutivo è certo di troare le risorse necessarie non solo attingendo ai fondi di coesione messi a disposizione dall’Europa o al Fondo complementare Pnrr da 30 miliardi di euro stanziato dal governo Draghi proprio per casi come questo, ma anche al Fondo di sviluppo e coesione (Fsc). Ovvero la cassa europea da 32,4 miliardi di euro sbloccata la scorsa settimana dal Cipess (il dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica). Risorse destinate alle Regioni per il periodo 2021-2027 che palazzo Chigi si appresta a “distribuire” sui territori dopo contrattazioni e confronti ad hoc con i singoli enti locali. Premendo peraltro sul “beneficio” di avere a disposizione una scadenza per il completamento delle opere che supera il 2026 previsto dal Pnrr, e che difficilmente sarebbe stato rispettato per molti dei progetti oggetto della trattativa. Del resto, come ha avuto modo di spiegare la stessa Associazione nazionale dei comuni italiani, «399 interventi del valore complessivo di 1,6 miliardi» sono in dirittura d’arrivo grazie al sostegno offerto agli Enti locali da Invitalia. 

In ogni caso la certezza sulla rimodulazione del piano è tale che il governo invita i Comuni a proseguire con l’iter prestabilito, garantendo che al momento del saldo i fondi saranno disponibili. Anche perché, ragionano i tecnici che tirano le fila del Piano nazionale di ripresa e resilienza, al momento la proposta inviata alla Commissione europea dall’esecutivo è in corso di valutazione. La “sostituzione” della fonte di finanziamento delle opere però - come da richiesta dai sindaci - va indicata solo nel momento dell’approvazione. E, rassicura l’esecutivo, in quella fase le risorse ci saranno. 

LE PERIFERIE

Il dossier del resto, è uno di quelli che dicono stare particolarmente a cuore a Meloni, anche in nome del vecchio motto che l’attuale presidente del Consiglio si è rigiocata a più riprese nel corso dell’ultima campagna elettorale: «Trasformare ogni periferia in un centro». Che si tratti del serpentone del Corviale ai margini della Capitale (quasi 58 milioni di euro nel Pnrr), della rigenerazione del forte Trionfale nel quadrante Nord-Ovest di Roma o del quartiere della Massimina (entrambi nell’ultimo monitoraggio del “piano periferie” sono oggi definiti in fase «critica» nonostante i 3 milioni di euro stanziati per il primo e gli 8 per il secondo), a palazzo Chigi sono determinati a dimostrare che per questo esecutivo periferie e aree degradate delle città italiane hanno un’assoluta «centralità». 

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