«I militanti di Hamas vanno uccisi o neutralizzati tutti, anche fuori Gaza.
Direttore Peri, quali sono oggi le opzioni per Israele?
«Ce ne sono diverse. La principale è un’operazione di terra: l’esercito entra in forze nella Striscia, a Gaza City, e insegue quanti si nascondono nella città sotterranea, la metropolitana di Gaza. La seconda è continuare con gli attacchi aerei e in parallelo negoziare con Hamas sugli ostaggi. La terza consiste nel lasciare quelli di Hamas a corto di rifornimenti e aspettare che si indeboliscano e chiedano aiuto. Ma potrebbero servire mesi. Dipende dal tempo che Israele è disposto a investire».
Quale opzione prevarrà?
«Per quanto ne so, il governo ha deciso di procedere all’eliminazione di Hamas, uccidendo o neutralizzando tutti i suoi appartenenti».
Quali sono i rischi dell’intervento? Hamas ha armi iraniane, siriane e nord-coreane…
«Il problema non sono le armi nuove di Hamas, noi abbiamo abbastanza armi, razzi e munizioni. Il problema sono le perdite che subiremo entrando a Gaza. Non sarà facile snidare e colpire i militanti. Ci vorranno 4-5 mesi. Inoltre, Hamas è anzitutto un’ideologia. La gente, a Gaza, crede in Hamas e nel suo modo di agire. Si possono eliminare le persone, non le idee. E se anche l’esercito israeliano facesse il miglior lavoro possibile, in 2-3-4 anni ci troveremmo di fronte un’altra Hamas. La vera domanda è che cosa fare dopo la guerra. Restare a Gaza non sarebbe una buona idea. La realtà è che nessuno vuole essere responsabile per Gaza, né la comunità internazionale, né l’Egitto. Nessuno vuole una patata bollente come questa. Si potrebbe chiedere all’Autorità palestinese, che però è troppo debole. Io cercherei una nuova leadership. Ci vorrebbe qualcuno come Mohammed Dahlan, per costruire un nuovo governo o regime nella Striscia. Ma è complicato».
È stata creata un’unità speciale per uccidere i responsabili del 7 ottobre…
«Non è semplice parlarne apertamente, ma le assicuro che Israele ha gli strumenti per trattare i leader di Hamas, a Gaza e fuori. Intanto, abbiamo oltre 200 ostaggi nella Striscia e ci sarà una pressione enorme dei familiari sul governo israeliano per riportarli a casa, già adesso chiedono di rinviare l’intervento finché i loro cari non saranno rientrati. Ma so che il gabinetto di guerra vuole procedere all’eliminazione di Hamas. E sbaglia Hamas se cercherà di giocare con noi rilasciando qualche ostaggio ogni tanto, con la speranza di posticipare l’attacco».
È possibile che il conflitto si estenda?
«I fronti potenziali sono quattro: Gaza, la Giudea e Samaria dove ci sono terroristi, gli arabi israeliani che ora sono in una specie di sonno ma che potrebbero agire e, naturalmente, i confini libanese e siriano per via degli Hezbollah, che dicono di essere pronti a invaderci. Dovremo combattere forse su più fronti insieme. Possiamo farcela, ma è complesso, e richiede tempo e risorse. Non credo, invece, che interverrà direttamente l’Iran. Dovrebbe vedersela con gli americani che hanno mandato navi e soldati».
Quanto peseranno le divisioni politiche dentro Israele?
«Basta vedere i social: la maggioranza degli israeliani ritiene che questa sia la fine di Netanyahu. C’è molta rabbia per quanto è successo e dopo la guerra la gente chiederà un cambio di governo o nuove elezioni».
Guardiamo indietro al 7 ottobre…
«Hamas è un’organizzazione barbara. Li chiamiamo nazisti, ma i terroristi di Hamas sono più disumani: non ho parole per l’orrore che provo di fronte ai bambini a cui viene sparato alla testa, a famiglie intere bruciate vive. Israele non era pronto. È stato un fallimento dell’intelligence, dell’esercito e della tecnologia della difesa. Ce ne occuperemo dopo la guerra».