Diana è morta sola, nel suo lettino, in casa: la mamma, Alessia Pifferi, l'aveva lasciata così.
Durante le fasi dell’arresto, un paio di vicini hanno invece lanciato qualche insulto. La donna intanto è sorvegliata a vista a San Vittore. Omicidio volontario «nell’ipotesi dell’omissione» è al momento l’accusa. In attesa che gli esami facciano piena luce sugli ultimi elementi da fissare nell’indagine degli uomini della Mobile, diretti da Marco Calì e coordinati dal pm Francesco De Tommasi. In genere «appena mi avvicinavo per accarezzarla, si tirava su in piedi nel lettino», racconterà la madre interrogata agli investigatori. Quel mercoledì, però, Diana non reagisce. Sono le 10.30 quando Alessia Pifferi si rivolge allora disperata alla vicina. «La bambina non respira più», urla. Non ha ancora allertato il 118. «No, non l’ho chiamato. Non so cosa fare», ammette alla donna che prova ad aiutarla: «Ero nel panico totale», ricorderà più tardi. I primi accertamenti hanno fissato il decesso almeno 24 ore prima del ritrovamento. Morta di stenti, la probabile causa. Ma punti fermi su questi due elementi si attendono dall’autopsia che sarà eseguita oggi. I consulenti medici eseguiranno inoltre esami radiologici per verificare se i ripetuti abbandoni abbiano compromesso lo sviluppo della bambina. Altri accertamenti saranno svolti su quel velo di latte rimasto nell’unico biberon che la madre aveva lasciato nella culla.
Il sospetto è che possa essere stato «corretto» con qualche farmaco per stordire la bambina e impedirle di richiamare l’attenzione del condominio. Un’eventualità finora sempre negata con forza dalla 36enne: «A mia figlia non ho mai dato tranquillanti», ha ripetuto agli investigatori. Mercoledì 13 e giovedì 14, giorno in cui poi partirà per Leffe (Bergamo) per raggiungere il suo compagno, afferma di averle dato solo «tachipirina sotto forma di gocce» perché «particolarmente capricciosa», forse per il caldo o per i dentini.
In casa però non sono state trovate confezioni del medicinale da banco. È stato invece rinvenuto in cucina — «anzi, io stessa l’ho fatto trovare al personale paramedico che non l’aveva visto» — un flacone di «En» (benzodiazepine), quasi vuoto, che avrebbe portato in casa sua un «signore» di cui «non ricordo il nome», che la donna aveva frequentato a inizio anno, durante la pausa nella relazione con l’elettricista di Leffe.