Samantha Cristoforetti e la laurea Honoris Causa alla Sapienza, l'appello-allarme: «Europa svegliati e recupera terreno nell'esplorazione dello spazio». Testo integrale

L'appassionante e forte "lectio" dell'astronauta dell'Agenzia spaziale europea all'inaugurazione dell'anno accademico

Martedì 10 Ottobre 2023 di Paolo Ricci Bitti
Antonella Polimeni e Samantha Cristoforetti

Samantha Cristoforetti: «Come si suol dire, chi non è seduto a tavola è spesso sul menù». In altre parole: «Svegliati Europa (e quindi anche Italia, terzo contribuente dell'Esa dopo Francia e Germania, ndr), il comparto spaziale è sempre più vitale per lo sviluppo e la sicurezza di ogni attività dell'uomo, e sempre più imprescindibile negli scenari della geopolitica, ma negli ultimi anni hai perso e stai perdendo sempre più terreno.

Non vogliamo più essere clienti che comprano biglietti per andare nello spazio, noi europei dobbiamo essere in grado di accedervi in maniera indipendente». 

 

Un appello rivolto dalla prima astronauta italiana e dalla prima comandante della Stazione spaziale internazionale non solo ai "tecnici", agli scienziati, agli imprenditori pubblici e privati, ai cattedratici ma soprattutto ai politici che decidono in quali settori investire risorse per garantire il futuro al loro paese.

L'astronauta dell'Agenzia spaziale europea ha lanciato questo appello durante la lectio magistralis tenuta all'Università Sapienza di Roma: in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico le è stato conferito un dottorato di ricerca honoris causa in Ingegneria aeronautica e spaziale. 

Un testo molto deciso, determinato, molto applaudito, che riporta anche il manifesto degli astronauti europei lanciato ormai tre anni fa a Tolosa, e approda al rapporto dei "saggi" che hanno costituito il comitato voluto dal presidente francese Macron per "stabilire le ambizioni dell'Europa nel campo dell'esplorazione spaziale". Ovvero la Luna, dietro l'angolo, e Marte, entro la prima metà del secolo.

Un testo presentato con passione e con attenzione e affetto per le nuove e brillanti generazioni che non dovrebbero vivere "angoscia", "ecoansia", "sconforto" e "sfiducia" che spesso li spingono ad andare altrove. Il quadro che risulta dalla "lectio" dell'astronauta trentina non è certo incoraggiante per l'Europa, ma il senso del messaggio è in realtà quello di fare leva sull'orgoglio, sulle competenze storiche e attuali che esistono e che sono forti in molti dei comparti dello spazio e che devono servire a colmare le distanze con vecchi e nuovi protagonisti.  

Ascoltarlo il discorso in diretta streaming ha riservato non poche emozioni e sarà anche meglio quando lo si leggerà con calma, magari non dallo schermo di un cellulare, ognuno nel proprio ruolo e nelle proprie competenze: molti passaggi sono duri, ma è stato già detto che "si sceglie di andare nello spazio non perché facile, ma perché è molto difficile". Una rotta, Samantha Cristoforetti, ce l'ha tracciata.  

Il testo integrale

L’esplorazione dello Spazio è un’opportunità di crescita e sviluppo per l’Italia e per l’Europa

Lo spazio è scienza, mistero, fascinazione. Lo stupore e la meraviglia suscitati dalla contemplazione della volta celeste hanno dato origine alle prime riflessioni filosofiche, scientifiche, teologiche ben prima che queste si delineassero come discipline separate della conoscenza. Da quando abbiamo contezza dei moti dei corpi celesti sappiamo che la nostra Terra è un’astronave in viaggio nell’universo e noi tutti, in questo senso, siamo astronauti. Oggi, però, vi parlerò di aspetti più pragmatici, partendo da una prima considerazione, forse evidente: i satelliti che l’umanità lancia nello spazio da ormai oltre 60 anni rappresentano una fonte di servizi e di applicazioni che diamo per scontati, ma che sono fondamentali per le nostre società, le nostre economie e la stessa nostra qualità della vita.

Basti pensare ai servizi di localizzazione e navigazione, di comunicazione e di osservazione della Terra, questi ultimi peraltro essenziali per comprendere il cambiamento climatico e valutare gli impatti delle politiche volte a mitigarlo. In questo senso lo spazio è infrastruttura critica e industria strategica, come vedremo meglio, al pari di settori come i semiconduttori o il cloud computing. Lo spazio è anche opportunità di ricerca e di sviluppo. L’ambiente spaziale, caratterizzato in primis dall’assenza di peso, permette la realizzazione di esperimenti scientifici impossibili sulla Terra, sia nell’ambito della ricerca fondamentale, che in quella con applicazioni cliniche, tecniche e industriali più immediate.

Lo spazio è anche, come è ben noto, terreno di collaborazione internazionale. Basti pensare alle grandi missioni scientifiche, come il James Webb Space Telescope, e soprattutto alla ISS, la Stazione spaziale internazionale, dove la collaborazione sopravvive anche nei tempi attuali di contrapposizione tra le parti, seppure indiretta, in un conflitto armato. Ma lo spazio, dobbiamo pur dircelo al di là di ogni retorica, è anche terreno di competizione strategica: economica, industriale e anche militare. Il dominio spaziale è oggi esplicitamente riconosciuto nella dottrina dell’alleanza atlantica quale dimensione operativa.

Lo spazio è tutto questo e come tale va valutato e considerato con occhio attento, consapevole e lucido da tutti; dai leader delle istituzioni, dell’economia, della società, della cultura, così come da cittadine e da cittadini che vogliano partecipare attivamente alla vita democratica. In primis da voi, giovani donne e giovani uomini che state per iniziare un nuovo anno di studi, e che beneficiate di un grande privilegio, come quello di una formazione universitaria di grande qualità qui alla Sapienza Università di Roma. Da voi a cui spettano, dunque, tutti i doveri e le responsabilità che questo privilegio comporta, a partire dal dovere di conoscere e di saper prendere posizione in maniera consapevole. Detto ciò, oggi qui io vi voglio parlare di esplorazione dello spazio, un termine con cui noi facciamo riferimento alle attività di robot e di esseri umani volte a espandere la presenza umana nel sistema solare, dalle orbite terrestri alla Luna e, in prospettiva, Marte. Come sapete, io sono un’astronauta, ho avuto il privilegio di andare nello spazio due volte, nel 2014 e nel 2022.

La prima volta ho raggiunto la ISS a bordo di un veicolo russo Soyuz decollando dallo storico cosmodromo di Baikonur, poi l’anno scorso sono partita alla volta della Stazione spaziale dal Kennedy Space Center, in Florida, a bordo dell’astronave americana Dragon, un veicolo spaziale di proprietà non della Nasa ma di un’azienda privata, SpaceX. Russia e Stati Uniti. Baikonur e Florida, tuttora gli unici luoghi, insieme alla base cinese di Jiuquan, nel Deserto di Gobi, da cui donne e uomini possono partire per lo spazio. Se mai dovessi tornare una terza volta in orbita intorno alla Terra, vorrei che ciò accadesse a bordo di un’astronave europea da una base di lancio europea. O meglio, perché mi rendo ben conto che l’età avanza, vorrei se non altro poter assistere a quel lancio in un futuro non lontano. E oggi vorrei provare a convincervi che quanto vi sto dicendo è importante anche per voi, per il vostro futuro, per il futuro dell’Italia e dell’Europa. Per capire dove andare, è sempre importante capire da dove veniamo, quindi permettetemi una piccola digressione storica.

Quando nel 2009 sono stata selezionata dall’Esa, l’Agenzia spaziale europea, per diventare astronauta, mi sembrava naturale che noi europei volassimo con gli americani o con i russi. Il volo spaziale umano era una cosa da superpotenze: Stati Uniti, Russia, erede dell’Unione Sovietica, e sempre più Cina. E mi sembrava già una cosa importante che noi europei fossimo dei partner della Stazione spaziale internazionale, sebbene partner in misura minore rispetto alla Nasa o dell’Agenzia spaziale russa, Roscosmos. Trovandomi a bordo della ISS, mi sentivo anche un po’ casa mia, a casa nostra anzi.

Era scontato, per me, che nessuno dovesse staccare un assegno per acquistare il mio volo, o quello degli altri colleghi astronauti, perché queste missioni erano dei diritti maturati verso i partner grazie ai contributi europei e italiani alla realizzazione e alla gestione della ISS. Contributi finanziati dai contribuenti, certo, ma messi a frutto come investimento strategico nella nostra industria spaziale, e grazie ai quali la nostra comunità scientifica, universitaria e industriale, ha potuto svolgere regolarmente attività di ricerca e sviluppo sulla Stazione spaziale. Ed effettivamente era stato un grande progresso, se pensiamo che, in fondo, negli anni ’60 e ’70, in Europa i lanci spaziali si guardavano solo in televisione.

Dopo arrivarono i primi voli di breve durata a bordo dello Space Shuttle, poi i cosiddetti “taxi flight”, missioni a pagamento con cui un Paese poteva acquistare voli di una o due settimane tramite accordi con i partner russi. L’ultimo volo spaziale acquistato dall’Italia in questo modo è stato nel 2005. Fu quindi un grande passo in avanti quello di diventare veri e propri partner della ISS grazie a una sorta di “comproprietà” dell’8.5% da parte dell’Esa, a cui l’Italia aveva affiancato un accordo bilaterale con gli Stati Uniti, con cui il nostro Paese aveva fornito moduli pressurizzati in cambio di ulteriori opportunità di volo per astronauti ed esperimenti. E l’industria italiana aveva ricevuto commesse importanti nell’ambito dei contributi europei, come il laboratorio Columbus, diventato nel 2008 parte integrante della ISS, e l’astronave cargo ATV, che per alcuni anni ha rifornito la Stazione spaziale, ma senza la capacità di rientro sulla Terra.

Da quasi due decenni abbiamo beneficiato di questo ruolo di junior partner della Nasa, frutto di decisioni lungimiranti prese negli anni ’90 del secolo scorso. Poi, però, abbiamo smesso di darci obiettivi ambiziosi, di voler crescere nelle nostre capacità di esplorazione spaziale. Nel momento in cui il mondo attorno a noi si metteva a correre, noi ci siamo fermati. Una decina di anni fa in Europa, e quindi anche in Italia, abbiamo considerato di realizzare una versione del cargo ATV che fosse capace non solo di raggiungere la ISS ma anche di rientrare in sicurezza sulla Terra. Poi abbiamo abbandonato l’idea. Sempre una decina di anni fa, abbiamo anche considerato di realizzare un lander lunare, ma anche in quel caso, dopo gli studi iniziali, abbiamo abbandonato l’idea. Nel frattempo, come forse saprete, sulla Luna sono atterrati con successo tre lander cinesi, di cui uno, Chang’e 4, è stato l’unico in assoluto a posarsi sul lato nascosto del nostro satellite.

Ci sono stati tentativi di allunaggio, finanziati da capitale privato, da parte di un’azienda israeliana e di una giapponese; non sono andati a buon fine, ma verranno ripetuti nei prossimi anni. Una dozzina di aziende americane, molte delle quali di recente fondazione, sono state qualificate dalla Nasa come possibili fornitori di astronavi cargo per la Luna e diversi contratti sono già stati sottoscritti per missioni previste nei prossimi anni. E qualcuna di queste aziende, presumibilmente, avrà successo e si posizionerà come protagonista sul nascente mercato dei servizi di trasporto cislunari.

Appena qualche settimana fa, come avrete senz’altro appreso dai media, si è posato sulla Luna un lander indiano, Chandrayaan-3, che ha rilasciato un piccolo rover sulla superfice. L’India è diventata così la quarta nazione al mondo a effettuare con successo un allunaggio, dopo esser stata diversi anni fa la quarta nazione a raggiungere l’orbita del pianeta Marte.

Ecco che adesso qui devo sottolineare, con rammarico, che tra coloro che hanno raggiunto la Luna prima dell’India non ci sono né l’Esa – agenzia che ha per mandato quello di aggregare le capacità spaziali dei vari stati del continente – né tantomeno una singola nazione europea. Lo ripeto: non è mai atterrato sulla Luna un lander europeo. Il nostro veicolo “Argonaut”, che porterà circa una tonnellata e mezza di cargo sulla Luna, ha passato da poco le fasi di studio iniziali e sarà pronto per un allunaggio forse soltanto alla fine di questo decennio. Sinora abbiamo parlato di esplorazione robotica, fatta con sonde o rover. Guardiamo ora all’esplorazione dello spazio con esseri umani.

Oggi solo tre nazioni possiedono astronavi in grado di portare donne e uomini nello spazio: gli Stati Uniti, dove la Nasa resta la più importate agenzia spaziale del mondo; la Russia, che continua a utilizzare e progressivamente migliorare la buona vecchia Soyuz; e la Cina che ha ormai pienamente dimostrato di possedere tutte le capacità, dispone di una propria stazione spaziale abitata in orbita terrestre e ha piani credibili di esplorazione lunare robotica e umana.

Ma c’è qualcosa in più. Negli Stati Uniti attualmente i servizi di trasporto astronauti sono forniti alla NASA da un’azienda privata, SpaceX, a cui dovrebbe affiancarsene a breve una seconda. I privati realizzano astronavi e razzi vettori in proprio e operano persino da rampe di lancio di loro proprietà esclusiva. Inoltre, nel giro di pochi anni, a questa lista si aggiungerà l’India, che con il programma Gaganyaan ambisce a lanciare astronauti prima in orbita terrestre e poi in quella lunare. La domanda che ci si deve porre con urgenza è dunque: che cosa fa l’Europa? Che cosa fa l’Italia che è una delle tre potenze spaziali del continente? Cosa fanno gli altri grandi Paesi europei, Francia e Germania? Su impulso del presidente francese Emmanuel Macron, in occasione dello Space Summit del febbraio 2022, è stato formato un Advisory Group, un gruppo di “saggi”, persone di spessore professionale e intellettuale che non direttamente coinvolti in attività legate allo spazio.

A loro è stato chiesto quale dovrebbero essere il livello di ambizione e gli obiettivi dell’Europa nell’esplorazione robotica e umana del nostro sistema solare, ovvero quali missioni pianificare in orbita terrestre, verso la Luna o verso Marte. Il loro compito non era quello di elaborare piani ingegneristici, ovviamente, ma quello di delineare una visione strategica. Dopo diversi mesi di lavoro, i “saggi” hanno rilasciato all’inizio di quest’anno un rapporto dal titolo “Revolution Space”, in cui si sono espressi con forza a favore di un aumento deciso dell’ambizione europea nell’esplorazione spaziale, per mettere in moto una rivoluzione, appunto, che produrrebbe benefici socioeconomici ben al di là dell’esplorazione spaziale e delle ricadute scientifiche.

Il nuovo livello di ambizione, auspicato dai “saggi”, si manifesta in vari modi, lo vedremo, ma certamente non può prescindere dall’investimento pubblico. E qui è forse utile menzionare qualche numero e fare qualche confronto, seppure in questa sede necessariamente approssimativo. Nel 2023 l’investimento pubblico europeo annuo, strettamente in attività di esplorazione spaziale, è di circa 1 miliardo, contro circa 14 miliardi degli Stati Uniti. Che cosa ci permette di fare questo budget?

Ci permette di sviluppare contributi assolutamente dignitosi per il programma Artemis della Nasa per l’esplorazione lunare, e cioè: il Modulo di Servizio dell’astronave Orion, che porterà gli astronauti in orbita cis-lunare; due moduli della stazione spaziale cis-lunare Gateway, tra cui il modulo abitativo iHAB con una capo-commessa italiana; e infine il già menzionato veicolo cargo Argonaut. A ciò si aggiungono le attività di ricerca scientifica sulla ISS e le missioni robotiche marziane Exomars e Mars Sample Return. Contributi, ripeto, assolutamente dignitosi e importanti, ma che non ci permettono di sviluppare capacità di trasporto autonome e riflettono gap di capacità dell’industria spaziale europea che non si possono ignorare, soprattutto in un contesto internazionale in fermento, come abbiamo visto, in cui tanti Paesi sono da anni impegnati a realizzare propri programmi di esplorazione lunare e marziana e in cui, negli Stati Uniti, imprenditori privati saranno presto attori imprescindibili che detteranno le condizioni con criteri di convenienza commerciale.

Torniamo quindi al rapporto Revolution Space, in cui i saggi auspicano, come dicevamo, un nuovo livello di ambizione dell’Europa nell’esplorazione spaziale, come opportunità eccezionale per mettere in moto effetti virtuosi in termini di crescita e prosperità, di geopolitica e di sicurezza, ma anche di capacità di ispirare, di coltivare i nostri talenti e attirare talenti dal resto del mondo, di mobilitare energia, progettualità, fiducia nel futuro. Ma andiamo con ordine, e parliamo dunque di crescita e prosperità, di benefici economici. Iniziamo riprendendo un elemento importante di contesto, cui abbiamo fin ad ora solo accennato: le attività nell’orbita bassa terrestre, dove si trova la ISS, si stanno privatizzando. Abbiamo assistito negli anni recenti alle prime missioni spaziali completamente private con voli, in orbita bassa e sulla ISS, venduti non solo a facoltosi clienti miliardari – chiamiamoli “turisti spaziali”, come è prassi nei media, o “astronauti privati” come preferiscono essere definiti loro – ma anche a clienti istituzionali.

Quest’ultimi sono Paesi che non hanno avuto in passato la possibilità di avere propri astronauti ma che ora compiono i primi passi acquistando opportunità di volo per i propri cittadini attraverso le opportunità commerciali offerte delle aziende spaziali private. Lo ha fatto l’Arabia Saudita, per esempio, che ha mandato una donna e un uomo sulla ISS lo scorso maggio a bordo della missione Axiom-2. Lo faranno probabilmente nel prossimo futuro la Turchia e persino diversi Paesi europei.

Non solo le modalità di trasporto in orbita stanno mutando ma anche la stessa Stazione spaziale internazionale verrà sostituita all’inizio del prossimo decennio da una o più stazioni spaziali private americane che venderanno servizi, per la ricerca o per la semplice permanenza in orbita, a clienti istituzionali e a clienti privati su base puramente commerciale. Molte aziende di consulenza prospettano dunque agli investitori le potenzialità di una nascente economia spaziale in orbita bassa terrestre, incentrata attorno alle attività di ricerca e sviluppo, di manifattura, e del cosiddetto in-orbit servicing.

Il trasporto, tuttavia – cioè la capacità di arrivare nello spazio e rientrare in sicurezza sulla Terra – è e rimarrà di gran lunga la componente preponderante dei costi e quindi delle opportunità di profitto per le aziende che offrono questi servizi. E queste, come detto prima, non sono al momento le aziende europee. Al contrario, industrie ed enti istituzionali europei si stanno configurando come futuri clienti di aziende private statunitensi. Ma l’impatto economico dello spazio va ben oltre le potenzialità della promettente economia dell’orbita bassa terrestre, e anche delle future opportunità nella manifattura e nei servizi per l’esplorazione della Luna. Guardando all’economia dello spazio nel suo complesso, parliamo di un settore che, secondo le stime più conservative, crescerà fino a mille miliardi entro il 2040.

Oggi, l’Europa presidia all’incirca un terzo dell’economia spaziale globale, una posizione più che dignitosa. Ma in molti settori non giochiamo in Serie A, e anche in quelli in cui ancora non siamo retrocessi, i gap e le dipendenze tecnologiche critiche esistono e si dilatano. Non posso non menzionare in questa sede, pur senza entrare nei dettagli, la crisi che l’Europa sta attraversando nel settore dei lanciatori, cioè dei razzi vettori che permettono l’accesso allo spazio e che sono conditio sine qua non per avere opportunità di crescita e di sviluppo nel settore. È facile, capite bene, immaginare un prossimo futuro in cui le industrie europee saranno sempre più esposte a competitori non europei che padroneggiano tutto lo spettro delle competenze tecnologiche, e sono quindi in grado di offrire soluzioni integrate, di definire i modelli di business, di ridurre efficacemente i costi. È facile immagine uno scenario, per esempio nel 2040, quando la maggior parte delle studentesse e degli studenti che oggi studiano alla Sapienza saranno ormai professionisti avviati, e madri e padri di famiglia, un 2040, dicevo, in cui le industrie spaziali europee faticheranno a competere nel contesto internazionale.

Un futuro in cui la loro quota di mercato si sarà magari ridotta drasticamente rispetto. In cui, ahimè, come succede già oggi con molte delle nostre startup, interi comparti delle nostre industrie, italiane ed europee, saranno acquisiti, o comunque controllati, da capitali non nazionali e non europei. E a quel punto quale sarà l’offerta professionale del nostro Paese, del nostro continente, in grado di soddisfare le giuste ambizioni delle studentesse e degli studenti di oggi, e di ripagare i loro sforzi di studio e di crescita umana?

Questo, però, non è l’unico futuro possibile. Il quadro che ho delineato, certo non dei più rosei me ne rendo conto, non vuole essere motivo di sconforto, tutt’altro, non deve esserlo. Vuole essere un doveroso esercizio di onestà intellettuale da cui ripartire. In Italia e in Europa abbiamo tutto il potenziale necessario per farlo. E qui torno al tema degli investimenti nell’esplorazione spaziale.

Come evidenziato nel già menzionato Rapporto Revolution Space, c’è bisogno di un nuovo livello di ambizione per dare un impulso di crescita e di innovazione a tutto il settore. Le sinergie con le tecnologie necessarie all’esplorazione dello spazio rafforzerebbero tutta la catena del valore, upstream e downstream. Un’aumentata domanda di lanci accelererebbe la tanto necessaria evoluzione dei lanciatori europei verso la riutilizzabilità e il contenimento dei costi, come è stato infatti negli Stati Uniti.

La nostra industria potrebbe integrare competenze tradizionali nel settore dell’abitabilità nello spazio – i moduli pressurizzati, prodotto di ingegneria e manifattura italiana, sono oggi venduti sia a clienti istituzionali che ad aziende private statunitensi – con competenze che permettono di offrire sul mercato soluzioni integrate, end-to-end. Non si tratta soltanto, badate bene, di aumentare sic et simpliciter l’investimento pubblico. Si tratta anche, anzi soprattutto, di fare le cose diversamente. Nel Rapporto Revolution Space si legge: «be bold, act differently». Come gli Stati Uniti hanno iniziato a fare oltre quindici anni fa, dobbiamo introdurre muovi modelli di procurement, che favoriscano la competizione tra le industrie; dobbiamo permettere, anzi incoraggiare, la crescita di nuove aziende; dobbiamo ribilanciare la condivisione di rischi e benefici tra attori pubblici e privati.

L’ESA deve definire gli obiettivi, insieme agli Stati Membri, e poi avere un ruolo abilitante e di anchor customer, lasciando alle industrie le scelte di dettaglio sull’esecuzione. Dobbiamo anche, e non sarà facile, trovare modalità di ritorno geografico che siano meno di impedimento alla competitività delle aziende europee pur garantendo il rispetto dello sforzo economico di ogni nazione. Abbiamo ancora una finestra di opportunità per assicurarci un settore spaziale europeo forte e solidamente in mano europee. Facciamo in modo che, nel 2040, non dobbiamo guardare indietro e rimpiangere un’opportunità persa. Un progetto ambizioso di esplorazione spaziale, ove trovasse il sostegno politico da parte dei decisori europei, può e deve essere un catalizzatore di competitività per tutto il settore spaziale. Non si tratta, insomma, l’avrete ormai capito, di far volare un’astronauta in più o in meno, ma di far “volare” l’Italia e l’Europa, di essere competitivi e il più possibile autonomi in un settore di grande importanza economica e industriale.

Ma c’è di più. Citando un’ultima volta il Rapporto Revolution Space: «It’s more than space». Non soltanto c’è molto di più in gioco che non l’esplorazione spaziale in senso stretto, ma i benefici socioeconomici vanno ben al di là anche dell’industria spaziale in senso lato. Intanto, per restare in ambito strettamente economico, l’industria spaziale ha un moltiplicatore significativo sulla crescita di tanti altri settori economici e industriali. Già oggi il moltiplicatore è stimato attorno a 6.5 e, secondo uno studio recentissimo commissionato dallo European Space Policy Institute, esso crescerà fino a 8 entro il 2040. Che cosa significa? Significa una potenziale creazione di valore aggiunto, a livello globale, di migliaia di miliardi ogni anno, grazie alla sempre maggiore adozione delle tecnologie spaziali nei settori più diversi, dall’agricoltura alle assicurazioni, dai trasporti all’industria farmaceutica. Come mi è stato spesso spiegato, il moltiplicatore è simile a quello di altri settori strategici come semiconduttori o cloud computing, giustamente oggetto di grande attenzione e forse di qualche rimpianto per occasioni perse in passato.

Il mio auspicio è che il settore spaziale sia oggetto di altrettanta attenzione e, in futuro, di meno rimpianti. Andando però oltre le, pur importanti, considerazioni sulla crescita economica, mi preme sottolineare come lo spazio sia sempre più strumento imprescindibile per garantire non soltanto la nostra prosperità, ma anche la sicurezza e la pace. I divari e le aree di dipendenza da capacità tecnologiche e industriali altrui hanno un prezzo in termini di autonomia strategica. Significa che, di fronte alle grandi crisi, non sempre possiamo operare in libertà scelte che sono secondo i nostri interessi e i nostri valori.

Usando un termine oggi molto in voga possiamo dire, e questo è stato esemplificato con grande chiarezza dal conflitto russo-ucraino, che non si può prescindere da forti capacità nello spazio per avere rilevanza da un punto di vista geopolitico. Fosse anche solo per partecipare ai tavoli dove si discute della futura governance e dei rapporti sia economici, che di sicurezza, nello spazio. Come si suol dire, chi non è seduto a tavola, è spesso sul menù.

Da ultimo, ma non certo perché meno importante, vorrei ricordare che la forza di un Paese, o di una comunità di Paesi come la nostra in Europa, inizia nei cuori e nelle menti delle persone, in particolare delle giovani e dei giovani. Troppo spesso mi sento confrontata in Europa con sentimenti di ansia rispetto alla magnitudine delle difficoltà con cui dobbiamo confrontarci, che si tratti di ansie legate a temi ambientali, di sicurezza sanitaria o di crisi identitarie. Avverto anche un senso di rassegnazione, che oscilla tra il timore che i grandi problemi non saranno risolti e la convinzione che, comunque, non saremo noi, in Europa, a dare un contributo significativo. Percepisco una sorta di mentalità del declino.

E su questo non mi do pace. Vorrei che l’Italia e l’Europa continuino a essere, e anzi siano sempre più, un luogo dove si possa realizzare il proprio progetto di vita, professionale e famigliare, in prosperità e in pace. Un luogo dove anche i giovani ambiziosi e di talento, i famosi cervelli, restino qui perché trovano le condizioni, in termini di capacità, di visione e di fiducia nel futuro, che permettono di realizzare sogni e progetti. Un luogo dove non manchi il desiderio di diventare genitori, perché si sente che il futuro, ben oltre la nostra piccola vita individuale, vale la pena di essere costruito e vissuto. Allora facciamo un ultimo esercizio di immaginazione, trasportiamoci di nuovo al 2040. Ecco il futuro più facile da immaginare, estrapolando dal presente. Un pugno di Big Tech americane e asiatiche dominano il mondo digitale, l’AI, il cloud computing e oltre a ciò vanno nello spazio, trasportano donne e uomini e fanno business, mentre l’Europa continua a fornire dignitosi contributi di nicchia e ottenere ogni tanto “un passaggio” per i propri astronauti – dagli americani certo, presumibilmente non più dai russi, ma forse dagli indiani.

Magari tornando a pagare il biglietto, come facevamo in passato, vuoi perché non abbiamo capacità tecnologiche interessanti da “scambiare”, vuoi perché i service provider privati sono interessati a meri pagamenti in denaro. Immaginatevi voli regolari americani e cinesi, come minimo, sulla superficie della Luna, mentre in Europa continuiamo a essere junior partner e fornitori di elementi limitati, che ci permetteranno, è probabile, di includere un paio di astronauti europei per decennio in una missione sulla Luna, ma non certo di essere protagonisti dell’esplorazione dello spazio, né di essere a nostra volta aggregatori di nuove partnership con Paesi amici, rinunciando così a quello che è da sempre uno strumento efficace di soft power.

Che immagine darà, dell’Europa, questo scenario? Prima di tutto internamente a noi, cittadini e cittadine? Non contribuirà questo, con tutta l’effetto potente che lo spazio ha sull’immaginario collettivo, a quella terribile mentalità del declino? E come saremo percepiti dall’esterno? Come una meravigliosa destinazione per una vacanza, e poco più? E avremo saputo far crescere i talenti, in particolare nelle discipline Stem, e la forza tecnologica, industriale, e persino demografica per contribuire a plasmare il futuro del nostro pianeta?

Contribuire, per esempio, alle soluzioni tecnologiche e di governance globale necessarie per raggiungere al più presto la neutralità carbonica, per arrestare il cambiamento climatico e mitigare le sofferenze che esso causa? Sapremo aggregare partnership virtuose e influenzare gli assetti delle relazioni internazionali per garantire prosperità e pace alle future generazioni di italiani e italiane, di europei e di europee? Io voglio immaginare un futuro in cui possiamo rispondere di sì a queste ultime domande.

E spero di aver saputo oggi convincervi di come un cambio di passo per l’Europa nell’esplorazione spaziale possa contribuire in maniera efficace a incamminarci su quella strada virtuosa. Vorrei che nel 2040 l’Italia e l’Europa abbiano avuto l’ambizione e il coraggio di crescere, realizzando un’autonoma capacità di volo umano spaziale e mettendo in moto gli effetti positivi, e così necessari, che ho provato oggi a delineare.

Se non sono riuscita a convincervi della bontà delle mie argomentazioni, spero almeno di non avervi annoiato, e sarei felice di avere anche solo suscitato la vostra curiosità. Se questa vi inducesse a voler approfondire quanto ho esposto, forse le vostre riflessioni vi porteranno a conclusioni non troppo distanti dalle mie. E forse anche qualche decisore politico sentirà la responsabilità di prendersi a cuore il futuro dell’Italia e dell’Europa nello spazio come elemento, certo non unico, ma imprescindibile, di costruzione di un futuro di prosperità e pace.

Grazie.

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L'intervento della Magnifica Rettrice

L'evento alla Sapienza è stato aperto dalla rettrice Antonella Polimeni, che ha ricordato le responsabilità e gli obiettivi che devono guidare l'insegnamento nell'ambiente dell'università. «Nella cornice della libertà e dell'autonomia - dice Polimeni - compiti dell'insegnamento devono essere la trasmissione del sapere, la promozione della cultura e della conoscenza scientifica, e il contributo al progresso materiale e spirituale della società».

In occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico, l'Università Sapienza di Roma ha conferito un dottorato di ricerca honoris causa in Ingegneria aeronautica e spaziale all'astronauta Samantha Cristoforetti, dell'Agenzia Spaziale Europea, «per avere legato il nome dell'astronautica italiana ai più prestigiosi risultati nella storia delle missioni e dell'esplorazione spaziali, contribuendo all'avanzamento delle tecnologie e delle scienze aerospaziali». «Nel quadro dell'esplorazione spaziale, l'Università Sapienza ha svolto e continua a svolgere un ruolo di primo piano a livello nazionale e internazionale», afferma Sergio Pirozzoli, coordinatore del dottorato di ricerca in ingegneria aeronautica e spaziale. «Ricordiamo, ad esempio, il contributo dato al Progetto San Marco, che negli anni 60 fece dell'Italia la terza nazione a progettare e mettere in orbita un proprio satellite artificiale, e allo sviluppo del lanciatore europeo Vega. In forza di questa lunga tradizione - prosegue Pirozzoli - oggi tributiamo un omaggio a Samantha Cristoforetti, per essere simbolo e spirito dell'esplorazione spaziale: nel corso della storia gli uomini si sono spinti oltre i propri limiti, sfidando la paura dell'ignoto, e Cristoforetti incarna questa perseveranza».

Ultimo aggiornamento: 12 Ottobre, 19:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA