L'accusa di un ragazzo «Botte dai poliziotti»

Giovedì 22 Giugno 2017
L'accusa di un ragazzo «Botte dai poliziotti»
«Mi hanno trascinato in barca, disteso a faccia in giù, ammanettato con le mani davanti, e mi hanno colpito con calci e pugni, mentre uno di loro mi teneva fermo per le caviglie». Il veneziano Tommaso De Michiel, 30 anni, figlio di un poliziotto, ha raccontato così, ieri pomeriggio, di fronte al giudice Sonia Bello, pubblico ministero Massimo Michelozzi, il presunto pestaggio di cui sarebbe stato vittima da parte degli agenti della Volante che, la notte tra l'1 e il 2 aprile 2009, erano intervenuti in fondamenta dei Cereri, vicino Santa Margherita, per identificare lui e il fratello Nicolò, 33 anni, che stavano litigando. Lesioni testimoniate dal referto dell'ospedale Civile, nel quale si recò per farsi curare.
Al processo sono finiti sotto accusa i cinque poliziotti di pattuglia: quattro con accuse di percosse e lesioni per fatti specifici a loro addebitati (Raffaele Boccia, Guerino Paolilli, Marco Cristiano e Andrea Patisso) e il quinto, il più alto in grado, Roberto Bressan per non aver impedito i calci e pugni inflitti dai colleghi al giovane. Tommaso De Michiel, imputato a sua volta assieme al fratello per resistenza a pubblico ufficiale, lesioni e ingiurie, ha assicurato che quella notte fornì le proprie generalità agli agenti, pur ammettendo di averli provocati. Ha riferito che Cristiano lo teneva fermo per le caviglie mentre Paolilli gli avrebbe rifilato un cazzotto. Durante il viaggio in motoscafo Boccia avrebbe tenuto ferma la testa di Tommaso tra le gambe e qualcuno gli diede un calcio nel costato, provocandogli la frattura di una costola, mentre lui urlava e faticava a respirare. Tommaso ha quindi raccontato di essere stato scaricato di peso e lasciato nel chiostro della Questura, a Santa Chiara, dove Paolilli gli avrebbe assestato un calcio sui testicoli e Cristiano premuto la testa sul selciato con la scarpa. Circostanze confermate dal fratello. I due giovani furono liberati all'arrivo del padre al quale, hanno raccontato i fratelli, furono date le chiavi delle manette. Il processo proseguirà il 5 luglio con la deposizione dei poliziotti che hanno sempre fornito una versione diametralmente opposta, sostenendo che Nicolò era ubriaco (circostanza confermata dagli esami effettuati all'ospedale) e che fu lui a comportarsi in maniera violenta, urlando, dimenandosi e scagliandosi contro di loro. (gla)
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