Renzi non si fida più e teme il gioco al rialzo

Mercoledì 15 Febbraio 2017
Renzi non si fida più e teme il gioco al rialzo
Non ci sono i caminetti, ma le correnti sì e lo scontro nel Pd è da Ok Corral con Bersani che minaccia la scissione per l'ennesima volta e Renzi che si barrica al Nazareno fissando per domenica l'assemblea del partito che dovrà convocare il congresso. Ancora una volta, come è accaduto prima della direzione, le minacce fioccano e vengono fatte filtrare ad arte nella speranza di impressionare l'avversario. E così la sinistra promette di mandare all'assemblea di domenica un solo rappresentante «che leggerà un comunicato a nome di tutti».
L'ex premier incontra in mattinata tutti i big del partito, da Orfini a Rosato, a Guerini. A sera è la volta del ministro Martina. A tutti dice di voler tirare dritto statuto alla mano. Ricorda come in direzione abbia messo da parte la questione del voto, come chiesto da Dario Franceschini. Intende, senza forzature ma con decisione, arrivare a concludere il congresso a metà aprile; primarie comprese. Un timing che non piace alla minoranza che non ha ancora un candidato in grado di recuperare quella «agibilità politica» che Bersani reclama. La sinistra del Pd teme il voto anticipato a giugno, ma anche il congresso che solo due settimane fa invocava, e brancola tra la voglia di andarsene e il tentativo di strattonare sino all'ultimo per cercare di portare a casa il massimo dello spazio possibile. Con la sinistra interna Renzi non intende trattare. Non si fida e teme «il gioco al rialzo». Tocca al ministro Franceschini incontrare di prima mattina il collega Andrea Orlando. Il Guardasigilli, che compone la maggioranza che regge la segreteria Renzi, in direzione si è distinto proponendo di convocare un'assemblea programmatica del partito prima del congresso. Una posizione che fa fare un passo in avanti alla candidatura di Orlando al congresso. Il Guardasigilli non molla sull'assemblea di programma e diventa in breve tempo l'unica speranza della minoranza bersaniana per restare dentro. Renzi ha capito il gioco e stringe ancor più i tempi. Teme Orlando come nuovo-Prodi e ben conosce la capacità di Franceschini di cambiare cavallo un secondo prima che il vento cambi direzione, ma considera Orlando come l'unico in grado di evitare la scissione.
La trattativa va avanti per tutta la giornata con Orlando che a sera riunisce i suoi per spiegare che può fare un passo ancora verso la candidatura al congresso, a patto di spuntare da Renzi domenica più tempo e convincere i tre sfidanti, Speranza, Rossi ed Emiliano, a fare un passo indietro. Compito non facile anche perché, ricordano a sinistra, «non si vede come Orlando, che ha votato sì al referendum, possa guidare nel partito tutti coloro che furono schierati per il no». Tocca ai prodiani, i più in sofferenza per i continui litigi, tirare fuori un'alternativa e ipotizzare il nome del governatore Nicola Zingaretti.
Renzi, che non intende dare nessun pretesto alla sinistra per la scissione, attende il partito all'appuntamento di domenica all'hotel Parco dei Principi. Il segretario del Pd ha rinunciato al voto a giugno, ma non all'idea di far concludere il congresso almeno 45 giorni prima della data delle amministrative che si dovrebbero tenere l'11 giugno. «Un percorso inferiore a 4 mesi non è un congresso. È una farsa e non parteciperemo», sostiene l'ex lettiano Francesco Boccia ora grande sponsor di Emiliano. Sui tempi si consuma lo scontro interno destinato ad incidere sul governo e sul percorso della trattativa sulla legge elettorale che non decolla anche a causa della minacciata scissione. L'Italicum alla Camera, con tanto di premio di maggioranza alla lista, e lo sbarramento all'8% al Senato sono due polizze per Renzi in caso di addio di una parte degli ex Ds.
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