Tav, niente penali ma l’addio può costare due miliardi

Sabato 28 Luglio 2018 di Luca Cifoni
Tav, niente penali ma l’addio può costare due miliardi

Su un punto, gli avversari della Tav hanno ragione: non esistono esplicite “penali” che lo Stato italiano dovrebbe versare per l’abbandono del progetto Tav. Lo ha confermato ieri anche l’Unione europea. Ma i costi che si abbatterebbero sul bilancio pubblico sarebbero comunque ingenti, anche se non facili da calcolare in anticipo. La quantificazione di almeno due miliardi fatta già nei mesi scorsi da Paolo Foietta, commissario straordinario del governo per la Paigi-Lione potrebbe alla fine rivelarsi anche prudente. Ma c’è di più: non è semplice e neanche scontato a questo punto immaginare quali saranno i passaggi tecnico-giuridici del cambio di marcia. 

I RAPPORTI
Servirà con tutta probabilità un nuovo Trattato con la Francia e dovranno essere regolati i rapporti con l’Unione europea, che è la principale finanziatrice dell’opera. Insomma si rischia - in piccolo - uno scenario non troppo diverso da quello della Brexit, con mesi e mesi di trattative necessarie solo per trovare l’accordo sulle procedure da seguire.

Il costo previsto dell’opera è fissato a 8,6 miliardi; il 40 per cento (circa 3 miliardi e mezzo) saranno a carico dell’Unione europea, la quota restante sarà divisa tra Roma e Parigi ma con un peso maggiore sulla parte italiana (circa 2,9 miliardi). Naturalmente solo una parte di queste risorse finanziarie è stata già spesa: si tratta di almeno 1,4 miliardi, di cui circa il 25 per cento a carico del nostro Paese. Soldi che andranno persi e quindi dovranno essere restituiti per le quote di competenza alla Francia e all’Europa. Ci sono poi altri 813 milioni già assegnati da Bruxelles per la fase successiva, che verranno revocati e non potranno comunque essere spesi per altre voci, anche se a quel punto il governo potrà risparmiare e dirottare altrove il corrispondente cofinanziamento.

GLI APPALTI
Fin qui i rapporti tra Paesi. Ma bisogna considerare che i lavori sono già avviati anche sul versante italiano; entro il prossimo anno sono attesi oltre 5 miliardi di appalti, con i relativi sub-appalti, Ci sono quindi imprese che chiederanno loro sì penali. Infine i cantieri già aperti dovranno comunque essere messi in sicurezza e anche questo rappresenta un costo. Sono voci che al momento non possono essere tutte precisate nel dettaglio, ma che comunque incideranno. Attualmente il progetto è gestito da una società mista, che per statuto ha un presidente francese e un direttore generale italiano, la quale continuerà ad operare fin quando non sarà definito il nuovo assetto.

IL TRAFFICO MERCI
Una delle argomentazioni frequentemente usate dai no è la presunta senza di una valutazione dei benefici dell’opera. Che tuttavia è stata fatta nel 2012. La polemica si è concentrata sui volumi di traffico merci atteso, che a detta dei critici non giustificherebbero l’investimento. Va detto che questi numeri sono in crescita da qualche anno dopo la contrazione legata alla severa recessione. Inoltre l’attuale traforo che risale a un secolo e mezzo fa rischia di essere inadeguato nonostante i lavori di adeguamento: non solo per l’altezza insufficiente ma anche per la pendenza media particolarmente elevata.

Su tutti questi elementi dovranno concentrarsi le analisi e le valutazioni del governo.

Che però non potranno del tutto prescindere da altre considerazioni: ritirandosi a questo punto dall’opera il nostro Paese oltre a subire un danno reputazionale in termini di credibilità si assumerebbe l’onere politico di infliggere un colpo al progetto del “corridoio 5”, quello che (in realtà con qualche approssimazione) dovrà collegare Lisbona e Kiev.

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