Urne deserte a Cencenighe «La nostra terra è ladina»

Martedì 24 Ottobre 2017
Urne deserte a Cencenighe «La nostra terra è ladina»
GRUPPI ETNICI
LIVINALLONGO«Noi ci sentiamo ladini, non veneti. Per questo non siamo andati a votare». Leandro Grones, sindaco di Livinallongo del Col di Lana, si trova seduto sulla poltrona del Comune che, in un momento di euforia autonomista del Veneto, ha il primato di essere all'ultimo posto degli elettori che domenica si sono recati alle urne. In realtà la classifica vede nel gradino più basso Soverzene, ma qui si può registrare una giustificazione ineccepibile.
«Gran parte dei cittadini vivono all'estero, sono iscritti agli elenchi Aire e non potevano tornare a casa solo per votare un referendum consultivo» fanno sapere dal municipio. I numeri non possono essere smentiti. A Soverzene gli elettori sono in totale 1.060, di cui però 735 (352 mascihi) sono residenti fuori dei confini italiani. In paese, quindi, ne restano 325, neppure un terzo del corpo elettorale. E' per questo che nelle tabelle dei partecipanti al voto, elaborate a Palazzo Ferro Fini, il comune di Soverzene ha registrato un modestissimo 23,3 per cento. In realtà hanno votato 247 cittadini (qualcuno in più per il referendum provinciale), il che corrisponde al 76 per cento dei residenti. Un'affluenza importante.
Ma spostandosi più a nord nel Bellunese troviamo il caso di Livinallongo che è invece la maglia nera nel popolo degli elettori e che comunque individua una linea di tendenza di profondo distacco da Venezia di tutti quei Comuni che vorrebbero girare le spalle al Veneto per far parte di una delle regioni a statuto speciale confinante. E che per farlo hanno anche votato un referendum rimasto (a parte il caso di Sappada) lettera morta.
A Livinallongo gli elettori totali sono 1.145 di cui solo 85 residenti all'estero, pari al 7 per cento del totale. In questo caso la bassa affluenza (27,9 per cento) non è dovuta all'Aire, ma a una scelta della popolazione. «Qui la gente ha fatto un ragionamento semplice. - spiega il sindaco Abbiamo votato dieci anni fa un referendum per il passaggio con il Trentino Alto Adige. Fra pochi giorni ricorre l'anniversario. Ebbene, non è accaduto nulla. Il disegno di legge che riguarda Livinallongo non è mai stato nemmeno calendarizzato in Commissione. Andare a votare per una maggiore autonomia del Veneto è inutile».
Vuol dire che a Roma non si sono mai occupati, in due lustri, di dar corso a una richiesta manifestata a furor di voti. «La volontà popolare è stata ignorata. Non solo ci sentiamo abbandonati, ci sentiamo traditi dal Parlamento italiano. Per rispetto verso questa gente, la Camera e il Senato dovrebbero dare una risposta alla nostra legittima istanza, sancita da un referendum. E invece ci tengono in un limbo. Ci dicano apertamente che non vogliono approvare la modifica territoriale, ma non meritiamo questo trattamento di sospensione». Finora si sono espressi i due consigli regionali, del Veneto e del Trentno Ato Adige, entrambi favorevoli alla trasmigrazione. La voglia di andarsene di Livinallongo affonda nella storia. «Per 1.000 anni siamo stati con gli austriaci, con loro abbiamo fatto la Guerra 15-18, poi c'è stata la divisione del territorio. Ma noi ci sentiamo altoatesini. Non sono ragioni economiche, ma storico-culturali ad animarci» conclude il sindaco. Infatti, Livinallongo gode di notevole agiatezza dovuta al turismo, visto che è il secondo Comune bellunese per presenze (350 mila) all'anno. E il comprensorio di Arabba e della Marmolada conta 11 milioni di passaggi sciistici, addirittura più di Cortina. Non è un caso che anche Sappada abbia livelli bassi di partecipazione. Il dato degli abitanti, depurato degli emigranti, fissa la partecipazione al 50 per cento, 16 punti in meno della media dei bellunesi. I cittadini di Sappada guardano già a Trieste, per loro i problemi di Venezia sono già alle spalle.
Giuseppe Pietrobelli

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