Quei partigiani uccisi in piazza nel 1944. «I corpi e quell’urlo indimenticabile»

Lunedì 10 Dicembre 2018 di Francesco Marcuglia
Un immagine d archivio di uno dei raduni Anpi dell 11 dicembre a Mirano, per ricordare l uccisione dei partigiani
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Undici dicembre 1944. Data funesta per Mirano. Un epilogo luttuoso, con i corpi di sei giovani partigiani collocati ai margini dell’ellisse della piazza principale, quella storica. Partigiani vittime di tradimento, quindi catturati e, dopo pseudo processo e relative condanne a morte appunto per tradimento, passati per le armi da parte delle cosiddette e temutissime “Camicie Nere” con sede alla Casa del Fascio. Le salme esposte nella giornata di mercato, per essere di mònito alla popolazione tutta. 
 Mi chiamo Francesco Marcuglia, miranese da infinite generazioni e, come recita la tradizione, da ‘sù dai ponti’. Ovvero residente nel centro storico, all’interno della zona circoscritta dai ponti Barche, Felice, Nuovo. Ho avuto un trisavolo che ha combattuto al ‘Quadrilatero di Villafranca’, nel 1859, Guerra d’Indipendenza, e che per questo è stato decorato. Sono figlio del compianto Silvio, co-fondatore delle sezioni locali di Avis ed Aido.
A quel tempo abitavo, in qualità di sfollato - cioè sfuggito ai bombardamenti - al secondo piano di una casa in via XX Settembre, nei cosiddetti ‘porteghi’, ingresso principale per la piazza. Avevo 5 anni. Quella celebre mattina nonna Giulia, aveva capito la gravità della situazione ed era venuta a prendermi di buonora per portarmi con lei al sicuro, a casa sua, a poco più d’un chilometro di distanza, nella proprietà agricola di nonno Bepi. La casa dei nonni si trovava all’altezza dell’attuale pizzeria “C’era una volta”. Sette campi e mezzo in affitto, 10 figli. Allora, una volta preparato da mamma Rosetta, scendemmo in strada e, per proteggermi dal freddo pungente, nonna mi mise sotto il suo ampio scialle nero. Allora la popolazione contadina non conosceva il cappotto. Agli uomini il tabarro, alle donne, appunto, lo scialle. Per incamminarci verso casa dei nonni, era d’obbligo attraversare la piazza. L’intenzione era quella di coprirmi il viso, ma io riuscivo a vedere sbirciando tra i buchetti della trama del tessuto allentata. Ricordo bene l’immagine dinanzi all’allora negozio di verdura del celebre ‘Momi’ (ora l’agenzia Ribon): a ridosso di un grosso pilastro, stesi a terra, due partigiani, l’uno appoggiato all’altro. Mi è rimasto impresso vedere l’inequivocabile e palese segno delle torture sulle mani di entrambi. Poi passammo davanti alla farmacia Sansoni. Lì, un altro corpo esanime, sul selciato, la testa in una piccola pozzanghera di sangue ghiacciato. C’è chi racconta che quella notte, buio totale per l’oscuramento, un garzone fornaio, recandosi in panificio prima dell’alba, inciampò su quella salma. Potete facilmente immaginare lo choc e l’orrore per una così macabra scoperta.
Infine sotto le vetrine di ‘Calzature Pavan’ (ora Limoni), ancora un giovane ucciso. Era un lunedì, le famiglie si recavano al mercato per il rifornimento settimanale. A farsi largo tra la folla di curiosi, la madre del partigiano. Non aveva notizie del figlio da settimane, datosi alla clandestinità per aderire alla resistenza. Fu indimenticabile per me l’urlo disperato di quella madre nel vederlo lì disteso a terra. Questi i fotogrammi che la memoria di un bambino è riuscita a registrare. E che oggi, dopo tre quarti di secolo, sono ancora lì. Immagini destinate a rimanere indelebili per sempre.
Ultimo aggiornamento: 18:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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