Venezia. Licenze d’oro: «Ho pagato 7mila euro al mese per gestire un motoscafo»

Al processo per la Mala del Tronchetto, il racconto di un testimone sul mercato dei titoli per portare turisti

Venerdì 22 Dicembre 2023 di Gianluca Amadori
foto d'archivio

MESTRE - «Non appena entrato nel garage del Tronchetto fui avvicinato da una persona che mi chiese se ero Stefano Fort: si qualificò come carabiniere e mi chiese di appoggiare le mani sull’auto. Vicino a lui c’era un altro uomo: capii subito che non erano carabinieri, li spintonai per tenerli lontani, ma uno di loro mi colpì alla testa per due volte con il calcio della pistola».
L’ex motoscafista veneziano ha raccontato così, ieri mattina, in aula bunker, la rapina di cui fu vittima nell’aprile del 2019, quando fu derubato di una valigetta piena di contanti - ben 550 mila euro - che aveva appena ricevuto come saldo per la vendita della sua attività, con inclusa licenza comunale di Noleggio con conducente (Ncc), per un prezzo totale di 800mila euro (250mila versati tramite assegni). Per quella rapina sono già stati condannati il mandante e gli esecutori materiali (Loris Trabujo, Festim Shemollari e Daniele Corradini) ora risultano sotto processo i presunti basisti, tra cui figura Sebastiano Goattin, 48 anni, il motoscafista che condusse la trattativa per la compravendita con Fort per conto del cugino, l’albergatore Dante Zefrido (non indagato), che ieri in aula, in qualità di testimone, ha confermato che fu lui a mettere i soldi per l’acquisto, per poi lasciare proprio a Goattin la gestione del motoscafo, in cambio «di un affitto mensile di 5500-7000 mila euro, a seconda della stagione».
Zefrido, rispondendo a monosillabi alle domande del pm Giovanni Zorzi, ha sostenuto di non essersi posto alcun interrogativo, dopo aver saputo che Fort era stato rapinato, mezz’ora dopo aver ricevuto da lui i 550mila euro («frutto di decenni di risparmi») e di non aver mai avuto sospetti.

Pur ammettendo che, dell’appuntamento per la consegna dei soldi, erano a conoscenza soltanto in tre: lui, Fort e Goattin.

«NON PARLARE DEI SOLDI»

Fort ha spiegato al tribunale di essere stato messo in ginocchio dalla rapina: «Vivo in miseria, sono stato costretto ad andare in pensione anticipata».
Nella sua deposizione il motoscafista derubato ha puntato l’indice contro Goattin («Sapeva che avrei parcheggiato l’auto al Tronchetto») riferendo che si precipitò da lui dopo aver saputo della rapina: «La prima cosa che mi disse fu di non parlare dei soldi».
L’accusa ha fatto riferimento alla piantina di alcuni locali dell’hotel Belle Arti, di proprietà di Zefiro, trovata nel corso di una perquisizione a casa di Denis Trabujo, fratello di Loris: gli inquirenti ipotizzano che servisse per un furto nella cassaforte dell’hotel e hanno chiesto al Tribunale una perizia calligrafica per accertare se sia stata disegnata da Goattin.
A favore della difesa la circostanza che il versamento del saldo dei 550mila euro in contanti non figurava in alcun accordo scritto: dunque quella somma, in ipotesi, poteva non essere pagata. Per quale motivo, allora, organizzare una rapina?

«GLI TAGLIO LA TESTA»

Ieri è stata ascoltata anche la deposizione di Alessandro Rizzi, i cui fratelli furono uccisi negli anni ‘90 da Felice Maniero e della banda dei mestrini, di erano esponenti di punta Gilberto Boatto e Paolo Pattarello, ora accusati di essere a capo della nuova mala del Tronchetto, assieme a Loris Trabujo. «Si facevano vedere a San Marco per intimidire», ha spiegato Rizzi, per eliminare il quale le indagini hanno accertato era stato predisposto un progetto con svariati appostamenti all’esterno della sua abitazione, a Cavallino. Rizzi ha riferito di aver ricevuto nel 2021 la visita di Enrico Marin il quale lo ammonì di stare attento: «Non so per quale motivo ce l’avessero con me», ha dichiarato Rizzi. Per poi aggiungere che Loris Trabujo, nel corso di una cena, sciabolò una bottiglia di vino proclamando: «Così taglio la testa a Rizzi». 

Ultimo aggiornamento: 16:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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