La poetessa trevigiana Roberta Durante: «Viaggio nella "sperdutezza" del mondo di oggi»

Martedì 20 Giugno 2023 di Chiara Pavan
Roberta Durante

All'inizio c'è stata la "Tempesta elettrica" di Jim Morrison, con un aforisma letto alle medie, «sono vivo e sto morendo».

Una scintilla che accende un pensiero fuori dagli schemi. E la voglia di tradurre in versi sensazioni, riflessioni, sguardi sul mondo che le ruota attorno. Roberta Durante non può farne a meno: la poesia come compagna di vita e di viaggio, sin da ragazzina. La poetessa trevigiana, classe 1989, dopo gli exploit con "Girini" e "Club dei Visionari", esce ora in libreria "I bimbi sperduti" (Einaudi), intrigante viaggio nell'oggi, nella «sperdutezza» che ci avvolge e travolge, dentro la quale ci ritroviamo uniti alla ricerca di un destino comune.


Come nasce questo titolo?
«Stavo leggendo "Peter Pan" di Berry, mi aveva colpito questo elemento dei "bimbi sperduti", che non sono per forza i bambini dell'infanzia. La "sperdutezza" ci riguarda tutti, ma quando la riconosciamo può diventare un elemento di comunione in questo tempo».


Le sue poesie riflettono il mondo attuale: «Non illuderti, bambina mia, si vede tutto a metro quadro».
«Come dire: questo è il mondo e tu puoi far qualcosa con la tua vita. Possiamo riconoscerci in questa vulnerabilità umana, ma abbiamo paura di ammettere che stiamo vivendo in questo mondo sperduto. Se c'è qualcosa di buono, allora dobbiamo trovarlo».


Come ha cominciato?
«Ho iniziato a scrivere banalmente, alle medie, leggendo i pensieri di Jim Morrison in "Tempesta elettrica", poi ho continuato. Non posso fare diversamente, sennò scoppio».


Maestri?
«Dopo la prima scintilla Jim Morrison, c'è stato Sanguinetti: grazie al lui ho scoperto un linguaggio fantastico, legato ai piccoli fatti veri. Ho capito che si poteva parlare anche di quello che vedi e non solo di quello che è stato, e questo innamoramento si è tradotto nel mio primo libro, "Girini". Poi amo Zanzotto per la lingua, per le sue folgorazioni. E Cristina Campo, che rimanda a qualcosa di vitale che sento nel cuore. Adesso c'è tanta poesia legata alla contemporaneità, al quotidiano, e tutto viene trasferito in versi. Ma si tratta di una poetica che a me non interessa».


Cosa cerca?
«Cerco il contrario: rendere intimo quello che c'è dentro e fuori. Da un lato tento di trasformarlo in qualcosa che mi risuona dentro, ma quando lo "ributto fuori" vorrei che potesse essere compreso da altri».


Dalla Campo a Sanguinetti e Zanzotto: tutte diverse ispirazioni.
«Per me significa essere libera. La Campo parla molto della necessità della liturgia, il fatto della scansione dei tempi dell'anno, delle stagioni, delle festività: mi ci calo completamente. L'inverno in cui la terra è ferma, in cui naturalmente si legge, si incamera, poi tutto sboccia, e succede sempre. Tutto muore e tutto rinasce».


Come nella parte finale, "Lettere a San Giorgio e a te?"
«È il tentativo di cercare la parte spirituale che non si vede. Io punto all'invisibile. Mi piaceva questa storia dei martiri e della favola, avevo letto di un dipinto, in Georgia, un San Giorgio che non uccide il drago ma cerca di uccidere un uomo. Il male è uno di noi. Così mi rivolgevo a questa figura immaginaria, un "te" che sta per tutti gli uomini, come dire: siamo tutti qui, guardiamoci in faccia e parliamone. Quello che uno cerca è di essere felice e star bene... un pezzo alla volta».


Mi pare un bel pensiero.
«Sono una fan dei Baustelle, il loro ultimo lavoro sembra fatto per me: parlano del regno dei cieli, invitando dio a farci vedere le cose un po' alla volta sennò ci scoppia il cuore».


Come si vive di poesia?
«È possibile vivere bene di poesia, ma se poi ci chiediamo quanti soldi si facciano è un altro discorso. Riesco a vivere di poesia pensando che un giorno vivrò davvero di poesia. Sono felice perché intanto vivo, consapevole che forse non sarà così. Ma va bene lo stesso».

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