Il sogno spezzato di Marco:
dire addio al lavoro precario

Domenica 3 Luglio 2016 di Pier Paolo Simionato
Il sogno spezzato di Marco: dire addio al lavoro precario
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PORDENONE - Voleva semplicemente lavorare. Mettersi alla prova lontano da casa, dall’universo quotidiano che conosceva, da una condanna al precariato che non accettava. Amava il mare, la spiaggia, le serate con gli amici. Era generoso, solido e concreto, come sanno essere i friulani quando vanno alla conquista del mondo. Un po’ introverso, a volte, quando lo prendevano i momenti di malinconia. Ma non è un difetto: c’è sempre una bella risata per provare a seppellire tutti i pensieri tristi davanti a una birra scura. Del resto, Marco aveva dovuto crescere in fretta, con il papà morto troppo presto e la mamma Gemma costretta a sdoppiarsi nel ruolo genitoriale. Per fortuna c’era Fabio, il fratello maggiore, spalle larghe e mani grosse, sempre pronto a dare una mano, un suggerimento, un’idea, un parere. Magari la spinta giusta. Due gocce d’acqua. Caratteri diversi, ma complementari nella complicità di una crescita non sempre facile.

Ora la pazzia jihadista ha spezzato la catena. Il quarantenne Marco Tondat, partito un anno fa per il Bangladesh con un sogno in tasca e tante speranze nel cuore, non tornerà. Il ragazzone di Cordovado è stato uno dei primi a morire, nel salottino del ristorante Holey Artisan Bakery, quando la folle carneficina dei terroristi è esplosa in un attimo che resterà fissato per sempre nei libri di storia.
Frequentato l’Itis a Portogruaro, aveva trovato il primo impiego nell’allevamento Ramonda, a un passo dalla ferrovia che divide il Friuli dal Veneto. Polli, fatica, sudore, turni. Vita dura. Treni che passano. Ma il giovane Tondat coltiva dentro di sè il sogno che lo alimenta. Non si accontenta. Vuole aprirsi una strada, guadagnare qualcosa, creare una famiglia. Passare più tempo con la compagnia, perché ha tanto da dare agli amici. Così arrivano in sequenza gli altri mestieri, la fidanzata, una figlia, la villetta da sistemare a Saccudello, fino all’opportunità che balena all’improvviso, in un momento di lavoro precario.
La proposta naturalmente arriva da un amico: il compaesano Filippo Cristante. Giovane come Marco, già da un paio di lustri ha avviato con la viterbese Nadia Benedetti un’impresa in Bangladesh, lo Studio Tex Limited. Perché non accettare l’invito, occupandosi del controllo di qualità della maglieria a Dacca? Detto e fatto: addio alla provvisorietà alla quale oggi l’ex Nordest operoso condanna i ragazzi. All’inizio dell’estate 2015, a 39 anni, Tondat parte per Dacca.
All’inizio torna spesso al paese. Posta in Facebook foto e pensieri. Le sue radici sono a Cordovado, la figlia poco oltre il confine con il Veneto. Chiede consigli dal punto di vista pedagogico a un’insegnante su come esserle vicino anche quando è lontano. Però il nuovo lavoro gli piace. Nelle operazioni di controllo riesce bene, tutti sono contenti di lui e può mandare qualche soldo a casa. Certo, gli manca la classica scorribanda in moto verso Bibione il sabato pomeriggio, ma in fondo non importa. Soltanto pochi giorni, festeggiando a cena, l’aveva definito «un anno speciale».
Stop.

Il resto è la storia del venerdì nero, dei professionisti della morte in azione, del terrore, del fanatismo e del lutto. Federico Favot, cordovadese che vive a Roma, sceneggiatore in tv dei Cesaroni (e non solo), è stato uno dei suoi amici più cari. È sconvolto. Lui che vive con le parole fatica a trovarle, ma non nega un pensiero: «Chi era Marco? La persona più buona che io abbia mai conosciuto. Sapeva mettersi sempre in secondo piano davanti agli altri, facendosi benvolere per la sua carica umana straordinaria. È stato leale, sincero e coerente».

Ultimo aggiornamento: 4 Luglio, 10:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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