«Io sopravvissuto, nel disastro del Vajont persi genitori e sorellina: nemmeno l'allora vescovo Luciani seppe darmi delle risposte»

Mercoledì 4 Ottobre 2023 di Olivia Bonetti
Franco De Biasio sopravvissuto, perse mezza famiglia nel Vajont

BELLUNO  - «Nemmeno l’allora vescovo e futuro papa, Albino Luciani, seppe darmi una risposta: gli chiesi perché la giustizia divina non salvò i quasi 500 bambini del Vajont. Le sue parole furono evasive e questa cosa me la sto portando dentro ancora oggi». Franco De Biasio, nato a Longarone 78 anni fa e oggi residente a Fregona nel Trevigiano, quelle risposte non le ha mai avute. Nel disastro del Vajont perse mezza famiglia: papà Giuseppe, 59 anni, mamma Maria Antonietta Candiago, 51 anni, la maestra elementare del paese, e la piccola Emanuela, sorellina di Franco: aveva solo 11 anni. La famiglia abitava in via Roma a Longarone. «Noi avevamo la casa proprio di fronte alla diga - ricorda Franco - nella strada che va in Val Zoldana. Dopo il disastro non rimase più niente, né un albero né un filo d’erba: quella zona di Longarone venne completamente spazzata via».
 

IL DESTINO
Franco, poi diventato enologo di successo con una vita di lavoro a Modena, allora 18enne studiava all’istituto Cerletti di Conegliano. «Tornavo i fine settimana - racconta -: è accaduto di mercoledì ed è per questo che io sono vivo». Il destino, così come per la sorella più grande, Maria Pia De Biasio: sopravvisse solo perché quella sera era al cinema a Belluno con l’allora fidanzato, il dottore Paolo Dalla Vestra, poi diventato suo marito. E vivo è anche il terzo fratello, Piero De Biasio, emigrato in Francia da dove apprese quello che era accaduto: «In quelle ore le telescriventi battevano in continuazione “Crollata la diga del Vajont” e lo venne a sapere».
 

LA NOTIZIA
Ma l’allora 18enne Franco De Biasio, ancora non sapeva nulla. A Conegliano condivideva una casa con altri studenti 4 studenti: «Ci alzammo e alla radio sentimmo: “È crollata la diga del Vajont”. Erano le 7,30 del 10 ottobre 1963. Il preside mi mise a disposizione una macchina e autista per portarmi a Longarone. Ma lì non si poteva entrare e il conducente mi portò a Belluno da mia sorella». È bastato uno sguardo per capire che il resto della famiglia non c’era più: «Ho compreso il lutto vedendola: si stava togliendo lo smalto dalle unghie». 
 

LA TRAGEDIA
«Quel pomeriggio - prosegue De Biasio - con mio cognato siamo andati a Longarone: non si poteva passare, ma lui era medico e doveva portare soccorso. Così siamo andati a piedi da Ponte nelle Alpi. Quando siamo arrivati ho visto la tragedia: non c’era più niente». «Successivamente - ricorda Franco - ci avevano dato il permesso di poter scavare nel punto in cui c’era la nostra casa: aveva sopra 4-5 metri di ghiaia dalle fondamenta. L’unica cosa che è emersa: una parte del bob con cui correvamo. Ho chiesto: coprite tutto». Ma il dolore e lo strazio erano solo all’inizio: «Il corpo di mia sorellina è stato ritrovato a Ponte nelle Alpi. Mia madre l’hanno riconosciuta verso Natale, grazie alla fede con la data di matrimonio che indossava: era una salma trovata a Trichiana, trascinata dall’acqua a una quarantina di chilometri da casa». Il riconoscimento infatti richiedeva tempo. «Il papà? Da una foto sembrava lui, ma non avendo nessun oggetto e era difficile poter dire con assoluta certezza che fosse lui. E sapendo che, una volta riconosciuto veniva archiviata la pratica e non ci sembrava giusto togliere la possibilità a altri famigliari di trovare il loro caro, nel caso non si fosse trattato proprio di mio padre». 
 

L’INCONTRO
L’allora vescovo Luciani nella primavera del 1964 va a celebrare la messa dello studente a Conegliano. «Ha voluto incontrarmi in udienza privata - ricorda Franco -. Aveva un carisma che ti metteva in soggezione. Ma gli feci una domanda: “Parlate sempre di giustizia divina non le sembra che questa volta Dio abbia sbagliato: abbiamo perso quasi 500 tra neonati e minorenni, se succedeva di giorno molti si sarebbero salvati. Le scuole elementari erano rimaste in piedi, molti studiavano a Belluno o a Vittorio”. È rimasto un po’ scioccato da queste mie parole: non aveva la risposta da darmi sono rimasto male». 
 

LA VITA
Franco poi si è sposato e ha trovato un buon lavoro a Modena. Ha due figlie. «Una che è Cortina e fa maestra di sci e l’altra che lavora a Modena». Cosa ha raccontato loro di quanto accaduto? «Le ho portate a Longarone per spiegare il tutto, ma sempre poche parole - dice -. Perché capivano che ogni volta o la commozione o il ricordo mi toglieva la parola, come adesso (la voce si fa rotta dal pianto ndr)». 
 

IL CALCIO
Poi a 55 anni da quella tragedia Franco, che all’epoca del disastro era calciatore militante nel Longarone, trova il modo di buttar fuori tutto quel dolore grazie all’incontro con i calciatori che affrontò nell’ultimo match a maggio 1963.

Tutto nasce dall’appello lanciato dal trevigiano Raimondo “Mondo” Giuriato, nel 2017, che all’epoca era nel San Biagio di Callalta (squadra che affrontò il Longarone quel giorno di maggio). «Questa amicizia mi ha aperto l’anima e da lì è comunicato questo rapporto è andato avanti, proseguito e sta proseguendo tuttora cercando di recuperare e far capire la lezione di questa tragedia, di cui le generazioni future dovranno tenerne conte». Infine la preoccupazione per la fine del mandato del sindaco di Longarone, Roberto Padrin. «Credo che non ci siano personaggi all’altezza sua e con la sua sensibilità per queste pagine di storia e di dolore che ha vissuto Longarone». 

Ultimo aggiornamento: 12:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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