Caterina e le sue pecore, la transumanza nelle valli bellunesi

Mercoledì 15 Novembre 2023 di Vittorio Pierobon
Caterina e le sue pecore, la transumanza nelle valli bellunesi

L’impegno e il faticoso periodo della transumanza per una 39enne di Cortina.

Ora in un libro racconta come è cambiato il lavoro del pastore negli anni.

Non provate a dirle che ha scelto un mestiere da uomini. «Chi l'ha detto che una donna non possa fare la pastora? Adesso fa notizia, perché si parla tanto di emancipazione femminile, ma le donne lo hanno sempre fatto. Chi badava ai campi e agli animali quando l'uomo era in guerra o si ammalava, o peggio moriva?». È la risposta che non lascia troppe possibilità di replica. Caterina De Boni è il classico esempio di "scarpe grosse e cervello fino". Del resto una laurea in Tecniche erboristiche e un diploma (per la verità solo sfiorato) al Conservatorio non si raggiungono per caso. Nella vita avrebbe potuto fare altro, ma la vita errante e pesante del pastore l'ha sempre attratta. «Fin da bambina mi piaceva andare, assieme a mio papà, a salutare i pastori quando passavano con le greggi. E appena sono cresciuta ho chiesto di andare ad aiutarli. Un po' alla volta ho imparato i segreti del mestiere, ho valutato i sacrifici che richiede ed ho capito che quella era la mia strada».


LA SCELTA
Dopo la laurea, anziché cercare un posto sicuro con una scrivania, ha scelto di seguire quello che le diceva il cuore. Ed ora ha un gregge con oltre mille capi di bestiame. Una strada che annualmente la porta ad andare dalle Alpi bellunesi (lei ha origini ampezzane) alla pedemontana friulana. Andata e ritorno lungo tratturi (ma non sono più quelli di D'Annunzio) che sono sempre meno percorribili. Per i pastori gli spazi si restringono, l'asfalto avanza. Ci sono mille regole da osservare nel transito, e i vari Comuni hanno facoltà di decidere in quali zone le greggi si possono fermare. Senza contare che bisogna fare i conti anche con i proprietari dei campi che si attraversano, i quali non sempre gradiscono il passaggio di un gregge con annessi e connessi. E le regole in Veneto e Friuli non sono le stesse. «Non puoi andare dove vuoi, non puoi far pascolare le bestie a piacimento. Le soste devono essere autorizzate, servono i nulla osta dei veterinari, i timbri dei Comuni, il permesso dei proprietari terrieri. E devi arrivare prima che un altro pastore abbia scelto lo stesso terreno. - racconta Caterina - ormai anche noi siamo travolti dalla burocrazia e se non sai usare il computer sei tagliato fuori. E poi ci sono i corsi da frequentare, gli aggiornamenti, i controlli. L'immagine bucolica che molti hanno della pastorizia è un po' superata, ammesso che ci sia mai stata».


LA VITA
Vita dura in tutti i sensi. Caterina De Boni, 39 anni, nativa di Cortina, sposata con il pastore Serafino (è il nome che lei usa per difendere la privacy a cui tiene moltissimo), una figlia e un camper che è la casa per molti mesi all'anno, ha deciso di raccontare tutto in un libro, "A passo di pecora", edito da Ediciclo. Un affascinante viaggio assieme alla pastora transumante, che aiuta a capire un mondo che, a dispetto del progresso, continua a seguire il ritmo della natura. Si cammina, si soffre, si mangia, si beve nei bivacchi o nelle osterie, che sono gli autogrill della transumanza, si dorme assieme agli animali. Anzi prima vengono gli animali.


IL RISPETTO
«Più che una pastora, mi sento una pecora», sintetizza Caterina. È una vita in simbiosi, una conoscenza reciproca totale, che porta al massimo rispetto per l'animale. «Finché le mie pecore non hanno mangiato a sufficienza, il mio stomaco si sente vuoto. Se un agnello ha mal di pancia, lo provo anch'io. E sono capace di riconoscere una pecora che ha perso il cucciolo dal belato». E, come insegna anche la tradizione biblica, il buon pastore si occupa degli agnelli in difficoltà. Ma ciò non toglie che lo stesso buon pastore ne possa decretare anche la morte. «Io amo i miei animali, però la natura ha leggi spietate. Allo stato libero gli animali vengono sbranati, i più deboli sono destinati a soccombere, le madri abbandonano i cuccioli malati. È un mondo carnivoro. Questa selezione avviene anche nel gregge. Purtroppo molti agnelli devono essere eliminati. Io cerco di avere il massimo distacco emotivo e faccio in modo che i miei animali, finché vivono, siano tenuti nelle minori condizioni possibili. Uccidere non è mai bello, ma è la natura stessa che lo impone. Semmai dobbiamo interrogarci su come si uccide. Un agnello soffrirebbe meno se fosse macellato direttamente nel luogo dove ha vissuto, invece va trasportato al mattatoio e questo sicuramente crea un trauma. Sono amica di cacciatori, ma sono contro la caccia che spesso provoca dolorose agonie. Un conto è uccidere per mangiare, un altro è uccidere per sport!».


LA TECNOLOGIA
Caterina racconta e si infervora, si capisce che ama il suo lavoro, però interpretandolo da donna giovane e moderna. «Ormai l'uso del computer tra i pastori è comune. È uno strumento di lavoro che spesso usano le mogli, perché il marito è impegnato ad accudire le bestie - racconta la pastora - sono finiti i tempi dei pastori tutti ignoranti. Ora ci sono anche gli "studiati", come li chiamiamo noi. Giovani che spesso arrivano dalla città. Attratti da questa realtà in mezzo alla natura. Ci provano, non tutti resistono. Si vede che a questi ragazzi e ragazze manca la scuola della vita di montagna. Conoscono le tecniche, però non si sanno muovere. Spesso seguono i nostri percorsi per non perdersi. E perdersi sui monti con un gregge è un affar serio». La pastora Caterina, lo ribadisce nel libro: oggi rifarebbe la stessa scelta di vita. «È un lavoro che mi sento di consigliare, purché si abbiano spirito di sacrificio e di adattamento. È bello il rapporto con la natura, ma duro. E senza soluzione di continuità. Per noi le ferie non esistono e nemmeno i giorni i di riposo: le pecore devono essere accudite e devono mangiare e bere tutti i giorni. Ci vuole sempre qualcuno che le segua». Ma a Caterina va bene così. «Per me è una scelta di libertà». Anche se la vita del pastore, non è esattamente quella rappresentata nelle statuette del presepio.

(vittorio.pierobon@libero.it)

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