Gianluca Amadori
SANA E ROBUSTA COSTITUZIONE di
Gianluca Amadori

 Lavoro sempre più sfruttato e meno dignitoso: serve un limite ai Mercati

Domenica 31 Maggio 2015
 E' la svolta più preoccupante di questi anni: c'è sempre meno lavoro, e quel poco che c'è è mercificato, precario, deprezzato, spesso neppure retribuito. Un lavoro non dignitoso, insomma. Le conquiste sociali faticosamente raggiunte, si stanno via via disintegrando. La Costituzionepone il lavoro come fondamento di ciò che ne dovrebbe seguire e dipendere, ovvero politiche economiche ed economia. Ma oggi la piramide si è capovolta, ed è l'economia a dettare le regole, sia alle politiche economiche che al lavoro. Un fenomeno sofferto sulla propria pelle dalle fasce più deboli e protette della società, ma ancora poco studiato e ancor meno dibattuto, a cui dedica un'ampia riflessione il libro "E lo chiamano lavoro" di Carla Ponterio e Rita Sanlorenzo (iRicci editore), che sarà  presentato nel convegno intitolato "Dalla Statuto dei lavoratori al Jobs Act" in programmavenerdì 5 giugno a Venezia, nella sala universitaria di Ca' Dolfin, organizzato da Ca' Foscari, Avvocati giuslavoristi e Magistratura democratica. Il libro fa, in un centinaio di pagine, la storia dello sviluppo del lavoro dal 1948 in poi, concludendo che "la rivoluzione promessa dalla Costituzione e il progetto del lavoro come principale fonte di emancipazione sociale si scontrano oggi contro una realtà di persone senza lavoro e di lavoro sfruttato, degradato a merce, retribuito  con compensi così lontani da ciò che occorre per un'esistenza libera e dignitosa da aver generato la categoria dei working poors".  Sotto la soglia di povertà si ritrovano, non solo i disoccupati o chi non è in condizione di lavorare, ma anche tanti che non riescono ad ottenere dal lavoro un reddito che li collochi un po' sopra il "grado zero dell'esistenza". E gli autori denunciano che "la politica è inerme di fronte all'aumento vertiginoso della disoccupazione e delle diseguaglianze, allo smantellamento dello Stato sociale, allo sradicamento della speranza di una qualsiasi forma di ripresa". Una politica sempre meno autorevole e capace di progettare il futuro; sempre più subalterna al potere finanziario. Dal capitalismo industriale siamo passati al capitalismo cognitivo. Nel primo c'era una netta divisione tra sapere e lavoro; tra lavoro intellettuale ed esecutivo. Nel secondo è la conoscenza il fattore centrale della produzione. La conoscenza è risorsa indispensabile per le imprese ma, a differenza del passato, non può essere interamente codificata e inglobata in un macchinario: "Essa è usufruibile solo per il tramite della persona umana che la incorpora, cioè del lavoratore... - spiegano gli autori del libro -  Nel capitalismo cognitivo la conoscenza personale si nutre della conoscenza e condivisione sociale... e ciò in una dimensione sempre più ampia, addirittura globale, grazie all'uso delle smisuratetecnologie digitali". Ed è qui che nasce il vero paradosso: "Nell'epoca in cui il mezzo di produzione per eccellenza è la conocenza sociale, quindi un bene comune e non suscettibile di appropriazione individuale, i lavoratori, principali detentori della conoscenza, cessano di essere classe e si disperdono in mille soggetti individuali e indipendenti, così finendo per assecondare la voracità del processo capitalisticoche pur di esercitare il proprio controllo sulla conoscenza e sui flussi di diffusione deve impoverire i lavoratori di potere e di diritti", denunciano Ponterio e Sanlorenzo. La soluzione? "Occorre un processo ri-costituente delle democrazie nazionali che passi attraverso lo sviluppo del costituzionalismo quale limite ai diritti-poteri del mercato, il rafforzamento del garantismo in tema di diritti sociali e la rifondazione costituzionale dell'Europa nel senso della progressiva unificazione giuridica all'insegna della tutela del lavoro".
Ultimo aggiornamento: 21:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA