Gianluca Amadori
SANA E ROBUSTA COSTITUZIONE di
Gianluca Amadori

La prescrizione è principio di civiltà, non diventi un ostacolo ai processi

Lunedì 5 Febbraio 2024

E' un principio di civiltà su cui è difficile non essere d'accordo: non si può essere perseguiti per sempre per un reato commesso, salvo che il fatto non sia di gravità estrema, come un omicidio, una strage. Così si spiega la prescrizione, che estingue il reato quando sia decorso un determinato periodo, stabilito dalla legge sulla base della gravità del fatto stesso.

In alcuni Paesi di consolidata tradizione giuridica, dalla Gran Bretagna, alla Francia, alla Germania, la prescrizione non decorre durante lo svolgimento del processo, e ciò ha una spiegazione logica: ci sono processi lunghi per definizione, perché complessi, con centinaia di imputati, che rischierebbero di non poter mai arrivare a sentenza. E poi, far decorrere la prescrizione durante un processo significa incentivare le attività dilatorie delle parti interessate a tirarla alla lunga per ottenere un vantaggio, per evitare la sentenza.

In Italia la prescrizione è una delle questioni maggiormente dibattute negli ultimi anni: l'impressione è che lo sia non tanto per tutelare i diritti dei cittadini più deboli, quanto per garantire una via d'uscita ai potenti quando finiscono nelle maglie della giustizia; casi peraltro sempre più limitati dopo modifiche legislative di vario tipo, anche recenti: dall'annunciata abolizione dell'abuso d'ufficio, all'ammorbidimento del reato di traffico di influenze illecite, alla limitazione dell'ambito di intervento della Corte dei conti per non influire sugli appalti del Pnrr.

Per alcuni reati i processi riescono ad arrivare a sentenza definitiva quasi sempre (droga, furti, rapine); per altri la prescrizione è quasi una certezza (corruzione, evasione fiscale, inquinamento) e non sempre per colpa dei magistrati. Soltanto una coincidenza?

Tutto è reso ancora più difficile e problematico dal fatto che la disciplina della prescrizione è stata cambiata ben quattro volte in sette anni: in una giustizia già al collasso per mancanza di personale e di mezzi, ciò introduce uno spreco di tempo e di risorse inimmaginabile in quanto costringe i giudici ad impiegare ore e ore del proprio lavoro nel calcolare se il termine di prescrizione è decorso, valutando se debba essere applicata la norma in vigore nel momento in cui è stato commesso il reato, oppure una delle numerose approvate successivamente, se più favorevoli all'imputato, per poi tenere conto delle sospensioni dei termini, comprese quelle previste per il Covid. Tutto tempo sottratto allo studio e alla decisione dei processi nel merito.

Insomma, una corsa ad ostacoli che nulla ha a che vedere con un giusto processo. Molte iniziative, più che garantire i semplici cittadini, sembrano dirette ad assicurare impunità per chi si può permettere grandi avvocati e una difesa agguerrita e potente. Insomma, uno Stato che fa la voce grossa soltanto con i più deboli.

Negli ultimi anni il dibattito sulla giustizia ruota tutto attorno all'imputato, alle garanzie processuali sempre più numerose, all'obbligo di non rappresentarlo come colpevole fino a sentenza definitiva (anche se arrestato in flagranza di reato), a concedere pene alternative, a cancellare le sanzioni per i fatti più lievi, nell'ottica di un recupero sociale. Tutte riforme condivisibili, in linea con una giustizia che ha come fine la riabilitazione. Ma il processo deve garantire anche le parti offese e pure lo Stato ha diritto a vedere sanzionato di commette reati, altrimenti il sistema su cui si regge una società rischia di saltare.

L'impressione è che, dopo la fase delle manette facili e gli eccessi dei processi a furor di popolo dell'epoca di Tangentopoli, si stia realizzando una sorta di  "restaurazione", con il potere politico impegnato a ridimensionare la magistratura e a ridisegnare una giustizia a due velocità: i procedimenti nei confronti dei criminali comuni destinati ad essere celebrati e conclusi, se possibile con pesanti condanne. Quelli relativi a finanzieri spregiudicati e amministratori pubblici infedeli (sempre che possano ancora iniziare) destinati a finire in un nulla di fatto, dopo un enorme spreco di tempo e di risorse, nei tribunali e tra le forze dell'ordine. Con i risultato che i grandi ladri potranno agire sempre più indisturbati, spartendosi le risorse che dovrebbero andare a scuola e sanità; contribuendo ad impoverire progressivamente il Paese e ad arricchire pochi potenti e i i loro amici e sodali.

Il tutto sta accadendo nella totale inconsapevolezza dell'opinione pubblica: la stessa che un tempo acclamava i pm di Mani Pulite e, sbagliando, pretendeva manette per tutti, oggi si è fatta convincere da una martellante campagna mediatica che l'unica da perseguire è la criminalità di strada; il nemico da combattere sono i magistrati che indagano sui politici corrotti e i giornalisti che danno notizie delle indagini.

Al motto di efficienza ad ogni costo si stanno eliminando gradualmente i controlli, si ampliano le fasce di impunità per i ladri veri, quelli che rubano risorse ingenti evandendo le tasse, che assegnano gli appalti in modo clientelare, che sprecano i soldi in lavori mal fatti o progetti inutili.

Proseguendo su questa strada, il rischio è di portare l'Italia indietro di decenni. Tra gli applausi degli italiani, pronti ad indignarsi soltanto di fronte ad uno sbandato ubriaco per strada o ad ladruncolo che sottrae una lattina di birra al supermercato.

Ultimo aggiornamento: 22:03 © RIPRODUZIONE RISERVATA