Un pezzo alla volta. Anno dopo anno: così aveva addentato il litorale imponendosi fra Anzio e Nettuno con il benestare della “casa madre”. Non era la sua una semplice associazione criminale. Si era infiltrato come un cancro nei meandri dell'imprenditoria e pure della pubblica amministrazione. E da calabrese aveva rispettato tutto il “protocollo” della 'ndrangheta con la “benedizione” che da Santa Cristina d'Aspromonte gli aveva concesso lo status di “dominus” nel costituire una “locale” sulle sponde laziali.
Baffo, al secondo Giacomo Madaffari, teneva in pugno attività commerciali, aziende, imprese, aveva imposto i suoi foraggiando campagne elettorali e trovando posti e impieghi a quelli che, come api “laboriose” ognuna per proprio conto, contribuivano a far crescere il “mostro”. Ed è per questo che l'operazione di questa mattina - con i Carabinieri del Comando Provinciale di Roma che stanno dando esecuzione a un Decreto, emesso dalla III Sezione “Misure di Prevenzione” del Tribunale Penale e Civile di Roma su richiesta della Procura della Repubblica - assume un valore dirimente. Dopo gli arresti “eccellenti” arrivati nel febbraio del 2022 a seguito dell'inchiesta “Tritone” firmata dal Nucleo investigativo di via In Selci sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale antimafia, che proprio ad Anzio e Nettuno accertarono l'esistenza di due distinti gruppi criminali – distaccamenti delle 'ndrine di Santa Cristina d'Aspromonte e di Guardavalle – arrivano oggi i sequestri.
Nel dettaglio, sono stati sequestrati 10 immobili di cui 6 di categoria A/7 (ville e immobili di pregio), 6 terreni, 2 autovetture, conti correnti e una società di rivendita autoveicoli, frutto del reimpiego di denaro ritenuto provento delle attività illecite perpetrate dal Madaffari: valore di oltre 3 milioni di euro.
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Nel febbraio del 2022 furono 65 le persone tratte in arresto (39 in carcere e 26 ai domiciliari), tutte accusate a vario titolo di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti aggravata dal metodo mafioso, cessione e detenzione ai fini di spaccio, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti aggravato dal metodo mafioso.
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A capo del sistema oltre a Madaffari, c'erano Bruno Gallace e Davide Perronace.