La mamma del disperso, tre giorni fra le macerie «Ridatemi mio figlio»

Sabato 18 Agosto 2018 di Claudia Guasco
La mamma del disperso, tre giorni fra le macerie «Ridatemi mio figlio»
dal nostro inviato

GENOVA Davanti al campo base della protezione civile allestito accanto all'Ikea, ultimo avamposto prima delle ruspe che spostano le macerie, il sole batte forte. Una signora bionda, minuta, cerca un po' d'ombra sotto un albero insieme al marito e al resto della famiglia. E' qui da due giorni, raccontano i volontari, prima aspettava davanti al varco di via Fillak ora si è spostata accanto all'altro moncone del ponte distrutto. Attende notizie, prima buone, ora cattive. Sa che il figlio Mirko non uscirà vivo, ma non cede. «Io da qui non mi muovo fino a che non lo tirano fuori», ripete.

OPERAZIONE DISPERATA
Paola e il marito Graziano Vicini sono i genitori di Mirko, trent'anni, da poco assunto dopo mesi senza lavoro con un contratto a termine all'Amiu, l'azienda di nettezza urbana della città. E' uno dei cinque dispersi - numero adesso ufficiale - della strage del Morandi. Il 14 agosto era di turno nel capannone sotto al ponte ed è rimasto sepolto sotto le macerie mentre guidava il suo furgone. L'hanno visto con i lampeggianti ancora accesi. Difficile recuperare il corpo, ma per Paola il tempo non conta più. I giovani della Croce rossa cercano di aiutarla come possono, con garbo e cautela. Paola pare fatta di cristallo, sempre sul punto di spezzarsi. Le offrono dell'acqua, la accetta con un sorriso. Le dicono che, se vuole, c'è della focaccia. Lei rifiuta. «Non mangia da tre giorni», dicono i volontari. E' determinata, tanto che l'hanno dovuta allontanare dal greto del Polcevera dove si era sistemata all'inizio. Fissava ogni pezzo di cemento che veniva spostato, la tensione era diventata insostenibile. Ora è qui, in attesa di notizie che tardano ad arrivare perché estrarre Mirko dal camioncino compresso da un blocco di cemento è un'operazione disperata. Il campo di emergenza è l'ultima spiaggia per chi cerca un disperso: due giorni fa è arrivato un padre che cercava il figlio, passava da Genova proprio martedì e da allora non lo sente più. Era sconvolto, i volontari lo hanno ascoltato e gli hanno consigliato di tornare a casa, stare lì è un'inutile tortura. «Abbiamo ricevuto decine di segnalazioni da parenti che non riuscivano a rintracciare i loro congiunti - spiegano alla prefettura - Per fortuna la maggior parte si è rivelata un falso allarme».

TRIANGOLI DI SOPRAVVIVENZA
Per alcuni, invece, una triste conferma. Nella lista di chi è stato inghiottito dal viadotto c'è il tedesco Albert, che non si trova, e un'intera famiglia, i Cecala di Oleggio: Cristian, dipendente del corriere Dhl, la moglie giamaicana Dawna e la figlia Kristal, nove anni. Il fratello, la sorella e la madre di Antonio sono accorsi a Genova dopo che, alle 11 di quattro giorni fa, Cristian ha dato l'ultimo segno di vita mentre erano in viaggio verso l'isola d'Elba. La mamma e i fratelli seguono le operazioni di recupero, la speranza è ormai al lumicino. La loro prima tappa è stata all'ospedale San Martino, dove sono stati accompagnati al primo piano: li attendevano alcuni psicologi, per un primo intervento di sostegno. Ma quando si sono ritrovati di nuovo soli hanno preferito avvicinarsi il più possibile alle macerie, per accorciare la sofferenza che li separa dall'incertezza alla verità. I cani continuano a fiutare, gli esperti spiegano che i cosiddetti «triangoli di sopravvivenza» - cioè aree prive di macerie grazie alla protezione creata dall'incastro dei blocchi di cemento armato - dopo 72 ore sono un miraggio. «Il nostro lavoro è cercarli. Partiamo dall'idea che purtroppo sono lì, sperando ogni minuto che arrivi qualcuno a dirci che non è vero, e che li troveremo. Setacceremo ogni metro quadro di macerie fino a quando non ci riusciamo», afferma il responsabile degli Usar della Lombardia Luciano Pace. Due i punti su cui si concentrano le ricerche: il basamento del pilone crollato, all'altezza dell'argine sinistro del Polcevera, e il blocco di ponte lungo una ventina di metri che ha invaso una parte della ferrovia. Lenorme blocco di cemento piantato in mezzo al torrente come un monolite, simbolo della tragedia, è stato abbattuto ieri notte. Ora la priorità, dopo aver trovato i dispersi, è rimuovere le macerie dal Polcevera prima che arrivi la pioggia.
 
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