«Ora il pre-partita è finito». A coalizioni (quasi) definite, è Carlo Calenda a lanciare ufficialmente la campagna elettorale del fronte di centrosinistra. E soprattutto a farlo ribadendo più volte di poter dire la propria. «Niente è scritto». Il convincimento al Nazareno, così come tra le file di Azione/+Europa, è infatti che strappando i collegi giusti al centrodestra si possa arrivare «se non a vincere, quantomeno a vanificare la vittoria degli altri» spiega una fonte dem.
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Del resto è questo il motivo per cui Enrico Letta ha tenuto i nervi saldi nella trattativa con l’ex ministro del Mise, mostrandosi determinato a raggiungere un accordo che numericamente è considerabile svantaggioso per i dem. L’intesa sul “70-30” ai collegi uninominali raggiunta ieri infatti - a grandi linee - si stima che con circa 35-40 seggi al centrosinistra, ne assegnerà 10-15 ad Azione/+Europa. Un bel bottino per un partito che ad oggi si aggira attorno al 5-7%. Ma questa era l’unica strategia possibile che il Nazareno aveva tra le mani per non consegnare il Paese direttamente in mano al centrodestra.
Ci sono poi tutta una serie di ragionamenti che vengono sciorinati all’interno della coalizione. In primis l’asse con Calenda è determinante perché ora, in assenza di un terzo polo, si può giocare la carta del «Noi contro loro». In secondo luogo: «Siamo così sicuri che Giorgia Meloni è così forte da Roma in su?». L’idea infatti è che la leader di FdI deve ancora “testarsi” alle urne e quindi potrebbe esserci qualche sorprese. Infine, i sondaggi disponibili oggi non vengono ritenuti affidabili «come in passato». A seguito della riduzione dei seggi in Parlamento infatti, i collegi sono stati rideterminati. E quindi oggi le stime vengono elaborate «solo sommando» le circoscrizioni. Ma in politica, specie all’alba di una campagna elettorale e con una soglia di indecisi astenuti che sfiora il 40%, potrebbe non essere affatto così semplice.
Le simulazioni
In ogni caso non si può non prendere per buone le simulazioni disponibili - nel grafico quella dell’Istituto Cattaneo - che mostrano come la partita si giochi fondamentalmente in 46 collegi uninominali (17 al Senato e 29 alla Camera), in cui basta un voto in più per spuntarla.
Qui i nomi dei candidati e le intese diventano determinanti. Soprattutto per indirizzare quegli elettori che nel 2018 hanno fatto stravincere il M5S e che ora, in oltre il 60% dei casi secondo l’Istituto Cattaneo, non è più disponibile a votarli. Per il Senato quindi occhi puntati quindi sull’intera Sardegna, il V Municipio di Roma, le circoscrizioni campane più piccole (Salerno, Acerra e Torre del Greco), Rossano in Calabria e Potenza in Basilicata, e poi Palermo-Settecannoli. Tutte aree “orfane” del consenso di protesta grillino del 2018. Ma anche i collegi toscani (Arezzo e Prato), Trento e Bolzano, Liguria-La Spezia, Ravenna e Rimini, e infine Bari e Ancona. Intere porzioni di Italia che Democratici e Progressisti hanno tutta l’intenzione di andare a prendersi.