Pietro, ultimo dei Marzotto

Venerdì 27 Aprile 2018
Pietro, ultimo dei Marzotto
IL PERSONAGGIO
«Non me ne frega niente di morire, ma mi piacerebbe accadesse all'alba, chiuso in una botte in laguna, col fucile in mano, aspettando le anatre che escono dal nido e si alzano». Diceva che non avrebbe accettato di finire la vita in una poltrona. Il destino lo ha interrotto nel torpore simile al sonno del pomeriggio, mentre forse sognava un mattino di caccia nella valle di Caorle. Piero Marzotto è morto a 80 anni nell'ospedale di Portogruaro. È stato per decenni la Marzotto, ha rappresentato un mondo industriale di un'Italia inquieta e decisa ad affermarsi internazionalmente e di un Veneto nel quale le grandi famiglie del Novecento si disperdevano tra disastrosi ricambi generazionali e la carica dei nuovi visionari.
INDUSTRIA & SOCIALE
È stato, nella sua stagione, il modello di industriale molto consapevole del suo ruolo e anche del compito sociale che l'imprenditore assolve. Rigoroso nei comportamenti e per questo un esemplare poco diffuso. Capace di dignità e di fare passi indietro. Non ha mai caricato a testa bassa, ha sempre avuto l'abilità e l'intelligenza di saper ascoltare e di sapersi fermare.
Con un rammarico: la fine della dinastia per abbondanza di eredi: «Siamo alla sesta generazione, la Marzotto ha 70 nipoti, alcuni non sono nemmeno parenti tra loro. Quando una famiglia diventa una popolazione o trova il suo leader oppure è la fine». E una considerazione amara sull'attualità: con la crisi il Veneto ha perso la sua identità che ne aveva fatto un'eccezione sul finire degli Anni '90.
VALDAGNO CITTÁ NATALE
Era nato a Valdagno l'11 dicembre 1937, ultimo di sette fratelli. Battezzato Pietro in onore di Pietro Badoglio che era amico del padre e aveva predetto: «Sarà un maschio, si chiamerà Pietro, sarà Maresciallo d'Italia». Non ha mai visto Badoglio e, ovviamente, non è diventato Maresciallo d'Italia.
L'infanzia negli anni della guerra, il fratello più grande Vittorio al fronte, poi l'adolescenza negli anni della ricostruzione e del miracolo in un'Italia piena di entusiasmo. Cresce nella città costruita dal padre e nel mito del padre Gaetano. Una memoria forte, anche di pietra come è Valdagno oltre il fiume Agno, la città sociale. Gaetano era, in fatto di idee, più in là del suo tempo, liberale e progressista, realista ma con un pizzico di utopia mai accantonata.
l'INGRESSO IN FABBRICA
Pietro cresce a quella scuola, come aveva fatto il padre anche lui entra in fabbrica dopo il liceo: tre anni da operaio alla Marzotto, in tutti i reparti, impegnato a raggiungere il cottimo, come si faceva allora. «Mi è servito dopo, nel confronto con il sindacato: conoscevo il lavoro, le macchine, i problemi tecnici». Laurea in legge alla Statale di Milano, potrebbe scegliere la carriera universitaria, ma il padre lo richiama alla realtà: «O ti lavori o niente schei». È l'unico dei fratelli che non corre in auto, anzi i Marzotto maggiori proibiscono a Enzo Ferrari di vendergli una rossa. Si rifà con lo sci nautico, è nella squadra nazionale assieme a Franco Carraro: vince due campionati europei nel 1959 e nel 1960, e un campionato del mondo dilettanti.
L'ASCESA
Entra alla Marzotto scossa dalle vicende del Sessantotto e dagli scioperi selvaggi, in una clima nel quale i manifestanti avevano abbattuto la statua del fondatore dell'azienda. In due anni è amministratore delegato, in nove vicepresidente esecutivo, nel 1982 presidente del gruppo Marzotto. Resta al vertice per quasi trent'anni, sviluppa l'export, diversifica la produzione, acquista la Bassetti, il Lanificio e Canapificio Nazionale, la Lanerossi e la Guabelli. All'alba degli Anni '90, l'azienda ha oltre 11 mila dipendenti. Poi si spinge nelle confezioni e mette a segno il suo capolavoro, l'acquisizione della Hugo Boss. «Ho trattato in gran segreto, in due settimane l'affare è stato chiuso, eravamo specialisti nel comprare robe storte e raddrizzarle, ma questa era già diritta: in dieci anni abbiamo decuplicato l'utile, da 16 miliardi a 160 miliardi».
IL SUCCESSO
È la realizzazione del suo sogno: la Grande Marzotto. Significa modernizzare l'azienda allargando la base azionaria, significa applicare un'idea portante: la Marzotto è troppo grande per essere tra i piccoli e troppo piccola per essere tra i grandi. O si supera il confine, o si resta ai margini. Quando nel 1989 gli chiedono le regole per il successo, presenta un decalogo che parla soprattutto di cultura e poi di risultato, opportunità, flessibilità, clienti, aggiornamento, consapevolezza. Mette in guardia dal narcisismo, dalla supponenza, dalla presunzione e dal qualunquismo. Forse troppo avanti per il tempo, certo quasi profetico Non trascura la dimensione pubblica dell'imprenditore, si espone nella Confindustria vicentina, poi al vertice nazionale dell'Associazione Laniera, infine alla vicepresidenza della Confindustria e in Mediobanca. Sempre con l'autonomia, come quando fa cadere un cda del Banco di Roma o se ne va da Mediocredito che ha comprato il Banco di Napoli. Dice sempre quello che pensa, anche sulla recente vicenda delle banche venete quando accusa gli istituti di «aver dato male i soldi, con molta allegria» e la Banca d'Italia di non aver svolto il suo compito di vigilanza.
VITA MOVIMENTATA
Una vita anche movimentata, tre mogli, quattro figli. L'ultima, Anna Maria Agosto, la sposa qualche anno fa in municipio a Padova. Va a vivere nella tenuta di Valle Zignago, dove una volta venivano a sparare alle anatre Hemingway e il re Juan Carlos. Ogni sera accarezza con gli occhi i suoi quadri: ritratti di Boldini, donne di De Nittis, una nevicata di Pellizza da Volpedo, i soldati a cavallo di Fattori, una lavandaia che strizza un raffinato lenzuolo. Negli ultimi mesi, dopo un intervento chirurgico, aveva dovuto rinunciare alle sue domeniche, si era scoperto sempre più dipendente dalla macchina dell'ossigeno e il tempo tagliava speranze e lasciava ricordi.
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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