Nel regno di Lady Amarone

Lunedì 23 Aprile 2018
I fratelli Allegrini

«Sono nata per caso a Verona, in un quarto d'ora, in ospedale perché mia madre voleva evitare i rischi che aveva corso per mio fratello. Il 28 marzo, nel segno dell'Ariete, e sono testarda. E siccome sono nata di notte ho ascendente Sagittario: due animali con le corna! C'è la spiegazione del perché sono molto cocciuta. Sono cresciuta in mezzo a due maschi, Walter e Franco il più piccolo, e mamma Tonina mi diceva sempre che non avevo paura di niente, devo dire che questa cosa mi è servita a non sentire mai la discriminazione».
Gli americani la chiamano Lady Amarone perché da 35 anni negli Usa spiega cosa sia il vino della Valpolicella e un po' anche quanto siano speciali Verona e l'Italia. Marilisa Allegrini, 64 anni, 150 viaggi all'anno, regge un'azienda che fattura 40 milioni di euro l'anno. Del Vinitaly appena concluso (col record di 128mila visitatori da 143 Paesi e 4380 espositori) ha detto che «per Verona è come l'Arena e l'opera lirica, è come Giulietta e Romeo».
La famiglia vive a Fumane, nella Valpolicella solcata dai progni, i torrenti che rompono la valle e dissetano le viti. Le ville della Serenissima forse sono nate da queste parti, a incominciare da quella dei Della Torre oggi Allegrini, disegnata da Giulio Romano. Qui, nel castello di Fumane, Marcantonio Della Torre ospitava Veronica Franco, la più famosa cortigiana onesta del Rinascimento veneziano, raffinata poetessa.

Come era la vita a Fumane da bambina?
«A scuola ero una ragazzina brillante pur non essendo studiosissima. Mi piaceva molto il contatto con la natura, nei boschi di Fumane non c'erano sentieri, bisognava trovare il proprio sentiero. La mia generazione non stava in casa nemmeno d'inverno. Non c'erano baby-sitter, si usciva alle due del pomeriggio e si tornava quando c'era buio. Poi mi piaceva moltissimo, e mi piace ancora, la bicicletta. Anche le bambole: a Santa Lucia mi regalavano sempre una bambola nuova e la vecchia diventava la madre di quella nuova. La prima Barbie l'ho avuta che avevo 13 anni, ma è troppo perfetta, non puoi fare la mamma con una Barbie».
Quando è entrata nell'azienda?
Da bambina avvicinarmi all'azienda era il modo per seguire mio padre Giovanni: il tempo da passare con lui era limitato, così gli chiedevo di seguirlo in campagna, strappavo l'erba alle viti. L'azienda è sempre stata dentro di me. Il primo Vinitaly che mio padre ha fatto era quando tutto il Vinitaly consisteva in un banco di assaggio all'interno della Fiera Agricola. Avevo 14 anni e da allora non sono mai mancata, anche quando facevo un altro lavoro».
Non si è sempre occupata solo di vino?
«Sono sempre stata attratta dal sociale. Le magistrali le ho fatte dalle suore dei Compostrini che hanno anche una missione in Brasile. Avevo due sogni da adolescente: l'amore per i servizi e il sociale e quello per la medicina. Ma papà a quel punto si è inalberato: mi voleva in azienda e sapeva che se avessi fatto Medicina mi sarei trasferita a Padova. Abbiamo raggiunto un compromesso: Faccio qualcosa che mi piace, ma accetto di non lasciare Verona. Le suore mi volevano pure suora Ho fatto la fisioterapista e per cinque anni quello è stato il mio lavoro».
Quando è nata Lady Amarone?
«Poi mio papà ha espressamente chiesto che tornassi in azienda, la nostra era una ditta familiare piccolissima. Posi come condizione di avere un ufficio tutto mio. Ho imparato da mio padre il rispetto per chi ti viene a visitare: se uno arriva da te, con tutti quelli che vendono vino nel mondo, vuole dire che è importante. Ho preso in mano l'azienda quando papà è morto nel 1983. Allora facevamo 200 milioni di lire di fatturato. Lui è stato un pioniere: in anni in cui il mondo del vino era determinato dal mondo dell'industria che acquistava tutto il vino sfuso, lui aveva capito l'importanza dei vigneti che si aggiungevano al patrimonio storico della famiglia. Lo accusavano di voler sconvolgere la tradizione, ma aveva capito una cosa semplice: l'innovazione non è altro che una tradizione che si rinnova».
E da sua madre cosa ha appreso?
«Ha vissuto all'ombra di mio padre, ma quando lui è mancato è venuta fuori la sua personalità molto forte. Mi ha permesso la serenità, aveva la mano sulla crescita delle mie figlie, lei suppliva a tutte le mie assenze. Oggi Carlotta è un medico, proprio quello che volevo diventare io, e Caterina è laureata in filosofia, entrambe laureate con 110 e lode. Mi vanto di essere una mamma da 220 e lodi. Mi smontano subito, forse è merito di mia madre».
E oggi che cosa è la Allegrini?
«Oggi produciamo 4 milioni e mezzo di bottiglie. La Allegrini non è più solo Valpolicella, non è più soltanto vini veronesi e veneti, dal 2001 con mio fratello Walter siamo andati fuori dalla nostra zona, fino a Bolgheri, dove ci siamo innamorati della tenuta di Poggio del Tesoro, facciamo un vino speciale Solosole e ci misuriamo in un territorio ad altissima vocazione che può consentire maggiore creatività. Mio fratello è morto qualche anno fa nell'isola d'Elba, non voleva stare troppo lontano dai suoi vigneti. Ora c'è un vino col suo nome. E poi nel 2007 siamo andati a Montalcino, ho visto questa tenuta di San Polo in una delle zone più belle, è una collina, quasi una montagna, che passa da 200 a 600 metri d'altezza, un vulcano spento, con esposizione, suolo e ventilazione molte diversi. Chi conosce l'importanza del microclima legato al vigneto capisce come proprio lì potevano nascere grandi vini. Mi sono confrontata all'inizio con questo cavallo pazzo che è il Sangiovese che nel momento in cui è valorizzato è uno dei vini più buoni e qui dà il massimo».
Brunello e Amarone, due eccellenze italiane: quali differenze ci sono?
«Il Brunello ha un'eleganza, un'austerità, una personalità molto forte, determinata dal Sangiovese. L'Amarone è un vino unico, complesso, secco, ha sentori di uve passite che lo fanno diventare vino di grandissima personalità. Sa perché mi chiamano Lady Amarone? Perché sono andata in giro per il mondo quando dell'Amarone non voleva sentire nessuno, era considerato troppo alcolico, troppo pesante, troppo ossidato, era tutto troppo. Era Recioto scapà, come si diceva, perché non era riuscito a completare la fermentazione».
E' mai andata in quella missione delle suore in Brasile?
«No, ma so che lo farò: quando riuscirò a passare il testimone alle figlie. Sono stata in missioni in Senegal, a Cuba, andrò anche in Brasile. Lo voglio, mi completerà. Ho due figlie e nipoti, produco vini che forse è presuntuoso chiamare le mie creature. Ma non ho dimenticato i sogni della Marilisa che andava dalle suore dei Compostrini».
Edoardo Pittalis
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Ultimo aggiornamento: 14:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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