«Negli Usa sono il re del radicchio»

Lunedì 18 Febbraio 2019
«Negli Usa sono il re del radicchio»
L'INTERVISTA
Lui l'America l'ha trovata due volte. La prima oltre l'Atlantico, anzi quasi sul Pacifico dove la California si trasforma in terra di insalate per migliaia di ettari. La seconda in riva al Po, dove il Grande Fiume abbraccia l'ultimo lembo di Polesine prima di morire nel mare. E ovunque ha sfruttato la sua idea: il rosso del radicchio di Chioggia, coltivato a distesa prima sulle sabbie umide californiane, poi sulle rive sabbiose del Po.
Nato a Chioggia, 66 anni, Giancarlo Boscolo Sesillo, presiede la Cultiva, società che racchiude 17 aziende dal Veneto alla Lombardia, dal Lazio alla Campania. Anche tutta l'insalata venduta col marchio Valfrutta esce dallo stabilimento di Taglio del Po. Produce insalate in busta per industria: 700 ettari coltivati tra serre e campo; un fatturato di 30 milioni di euro, il 65% della produzione destinato a Inghilterra e Svezia; 400 mila kg di insalate imbustati ogni settimana.
Sesillo ha pure migliaia di ettari coltivati in California e in Florida: la gestione americana è affidata alla terza generazione della famiglia, anche se non tutti lavorano in azienda, una nipote fa ricerche sul cancro all'università di San Diego. Giancarlo ha la passione per la Porsche 911: Non esistono altre macchine. Quando non c'erano i limiti di velocità in autostrada una volta ho fatto Padova-Salerno in Forse è meglio che non lo dica».
Come ha fatto uno di Chioggia ad avere successo in America?
«Mio padre Francesco, come tutti gli agricoltori di Sottomarina, aveva tre piccoli appezzamenti di terreno, un ettaro in tutto. Aveva capito che tre figli non potevano sopravvivere con quello e ha cercato di farci studiare perché almeno qualcuno potesse andarsene. Oggi i miei fratelli Paolo e Giorgio lavorano in azienda. Io mi sono laureato in Economia a Ca' Foscari e mi sono allontanato presto, ho colto la palla al balzo quando un'azienda di costruzioni che lavorava in Africa con prefabbricati in acciaio mi ha chiamato. Aveva sede nel più bel palazzo di Chioggia che adesso ospita una banca. Per undici anni ho seguito la parte logistica viaggiando molto e il lavoro mi piaceva, ma la Libia che era il mercato più grosso era diventata troppo pericolosa già molto prima della caduta di Gheddafi. Negli ultimi anni ero spesso negli Usa a chiudere le filiali e qui mi è venuta un'idea: esportare radicchio. Era il prodotto che mio padre Francesco coltivava, lui è morto prima di vedere il nostro successo, non è mai stato in America».
Lei racconta che non ama alzarsi presto
«Ho incominciato a lavorare a otto anni, mi è rimasta una fobia: alzarmi presto la mattina. D'inverno dovevo svegliarmi alle 5 e mezzo per andare a scuola a Padova e d'estate alle quattro per andare a vendere frutta e verdura. L'ho fatto fino alla conclusione dell'università. Non era una famiglia che stava male, però dovevamo tutti lavorare. Vivevamo vicino al mare, d'estate avevo una tettoia sotto la quale vendevo a chi andava in spiaggia, me la sono tenuta sino alla laurea e anche dopo sono rimasto indeciso: quel baracchino mi dava un reddito che bastava per un anno. Mio padre era la fine del mondo, veniva da una famiglia numerosa, sette fratelli. Era un agricoltore atipico che capiva che la terra da sola non bastava e così è stato tra i primi a fare una pensione estiva per tirare avanti: era la bestia nera della famiglia, aveva la mania di ingrandirsi. Anche mia madre Erminia, che è bella vispa a 87 anni, veniva da una famiglia di agricoltori».
Torniamo all'America: c'era spazio per il radicchio su quel grande mercato?
«Era il 1989, il radicchio era utilizzato da pochi ristoranti di alto livello e ristretto alle grandi città, New York, Miami, San Francisco. L'industria delle insalate pronte per l'uso era già un mercato in crescita e avevano capito che per migliorare le vendite dovevano colorare le confezioni, aggiungevano il cappuccio rosso che non c'entrava niente. Ho pensato: qua ci vuole una foglia di radicchio rosso. Ma c'era un problema: non era possibile esportarlo in aereo, occorreva produrre radicchio negli Usa e così mi sono trasferito in California e ci sono rimasto. Ho incominciato nella Valle di Salinas, la valle dell'insalata, un'ora e mezzo di auto a sud di San Francisco. Per il clima siamo come tra la Tunisia e la Sicilia, troppo caldo per il radicchio ma nella Baia di Monte Rey c'è una corrente d'aria fredda che entra in funzione ogni volta che si alza la temperatura e la mantiene ideale per questo tipo di coltivazione. Mi ha aiutato l'Università che ha approvato e sostenuto il progetto: non avevo una grande esperienza, abbiamo fatto lunghe prove, partendo da zero in cinque anni siamo arrivati a 1600 ettari di radicchio che servivano tutte le industrie di insalata. Quando siamo riusciti a mettere il radicchio nell'insalata di McDonald abbiamo capito di aver sfondato. L'esperienza americana non è finita, in una recente visita in Italia alcuni dirigenti d'azienda hanno visto le serre per proteggere dalla pioggia e l'hanno trovata buona per la Costa Est dove piove sempre. Siccome un camion viaggia sei giorni per fare da costa a costa, abbiamo appena investito 16 milioni di dollari in cento ettari di serre in Florida e questo ci ha portato un premio per l'innovazione. A dirigere l'azienda è mio figlio Federico, in California c'è mia nipote Roberta».
Poi dall'America all'Italia
«In Italia ho iniziato nel 1992, proprio a Taglio di Po dove eravamo riusciti a comperare terra a buon prezzo, terreno di sabbia e a noi serviva quello. E' una zona che da quando hanno istituito il Parco del Delta del Po si è andata ripopolando dal punto di vista faunistico e della flora. L'organizzazione di produttori è nata nel 2003, in Inghilterra e in Svezia avevano incominciato a chiederci prodotti diversi dal radicchio, all'inizio rucola. Devi essere regolare, devi fornire e basta, non conta se c'è il sole o piove».
Le difficoltà incontrate?
«Ci portiamo dietro ancora la poca credibilità, specie nel campo agricolo, quasi fosse rimasto il retaggio delle arance: il primo strato buono e sotto quelle scarse. Con l'industria non si può fare copertina. Gli altri mercati hanno regole che vanno rispettate: continuità, sicurezza alimentare, serietà, poi viene anche il prezzo. In Italia questi quattro elementi non hanno la stessa scala di valori: da noi al primo posto è il prezzo Noi potremo fare il bello e cattivo tempo in Europa, ma non siamo organizzati. Qui si produce tutto, siamo fortunati, il fatto è che tutti pensano di essere i più bravi e ci fregano l'individualismo e la presunzione. C'era una storiella a Sottomarina dove si sono sempre combattute le guerre de confinanti, terreni divisi da passaggi di venti centimetri che si scavavano col badile. Ed erano lotte di confine a badilate. Un giorno uno vangando trova la lampada di Aladino, la strofina e salta fuori il genio che gli chiede di esprimere un desiderio, ma di fare attenzione perché al suo confinante toccherà il doppio. Ci pensa un bel po', alla fine grida: Orbame a un ocio!. E' la mentalità individualista con la quale non si può avere successo».
Edoardo Pittalis
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Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 10:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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