LA STORIA
Non è stato solo Napoleone a rapinare le opere d'arte da Venezia,

Martedì 13 Novembre 2018
LA STORIA
Non è stato solo Napoleone a rapinare le opere d'arte da Venezia, Veneto e Italia, ma, spesso, quadri, pitture, vere da pozzo, capitelli e arredi sono stati semplicemente venduti dai veneziani agli stranieri, mentre il neonato Stato italiano chiudeva frequentemente tutti e due gli occhi su questi delitti.
E più di qualche volta - come la storia che raccontiamo degli affreschi di Gianbattista Tiepolo spariti 125 anni fa da Villa Contarini di Mira detta dei leoni all'avidità di ottusi proprietari si era unita quella di collezionisti-antiquari, aiutata dall'ignavia della struttura amministrativa.
Uno come il veneziano conte Dino Barozzi, per esempio, fu capace nel giro di poco tempo di complicità, menzogne e inquietanti convivenze col sistema burocratico della neonata Repubblica Italiana, pur di far vendere gli affreschi di cui si ora vanta il prestigioso museo Jacquemart-André di Boulevard Haussman a Parigi. Le città di Mira e Venezia non se lo dovrebbero scordare questo personaggio anche perché dopo l'«affaire Tiepolo» il nobiluomo divenne il primo soprintendente alle Belle Arti e ai Beni Culturali del Regno d'Italia.
IL FURBISSIMO BAROZZI
Quasi una beffa se si pensa che alla fine del Settecento la Repubblica di Venezia aveva avviato organi tecnico-consultivi per la conoscenza e la protezione del patrimonio chiedendo nel 1773 allo studioso Anton Maria Zanetti di censire le opere d'arte conservate nelle chiese, nei conventi, nelle confraternite della città e del Dominio: possessori e custodi dei beni dovevano a vigilare garantendone l'inamovibilità e la corretta conservazione. Incredibile il fatto di Villa dei Leoni? No, solo triste storia anche se resta un'unica consolazione per questa denigrante e fallimentare pagina sulla conservazione artistica nel nostro paese: la durezza con la quale la comunità di Mira reagì contro quello sfregio, aiutata inutilmente da appassionanti resoconti dei giornali del nord d'Italia.
PROTESTA E SDEGNO
Lo sdegno di allora contro trafficanti d'arte e governanti imbelli - va ricordato anche perché, fra pochi giorni, per festeggiare i 150 anni dall'istituzione del comune di Mira copie digitali degli affreschi ritorneranno dove si trovavano le grandi opere del Tiepolo fino al 1893. La villa cinquecentesca sulla Riviera del Brenta (ora comunale) fu proprietà della famiglia Contarini e passò di mano in mano a nobili ed affini fino a Demetrio Homero che fece sapere al Barozzi di voler vendere gli affreschi. Barozzi contattò allora Edouard André, banchiere protestante e la moglie Nélie Jacquemart, pittrice di origini popolane, una coppia che girava l'Europa per comprare opere d'arte per la loro residenza parigina. L'affresco tiepolesco rappresenta il francese Enrico III allora re d'Ungheria e figlio di Caterina de Medici - accolto nel 1574 dal Doge Contarini nella villa di Mira, dei Leoni.
BUROCRAZIA E INETTITUDINE
Trasportati nel clima dell'Italia di fine Ottocento si capisce come uno dei capolavori di un grande maestro lasci facilmente l'Italia nonostante il no del prefetto di Venezia Lorenzo Fabris e del Ministero della Pubblica Istruzione. Brucia, perché questo affresco, scrivono ovunque adesso i francesi, trenta metri di parete più un enorme soffitto e due pannelli è l'unico affresco italiano in Francia e adorna magnificamente lo scalone del museo Jacquemart-André ed è una della più belle attrazioni nella sua ricca collezione; assieme a due leoni marciani, del XVI secolo, sempre da villa Contarini collocati all'ingresso.
Poiché nel 1893 la notizia della vendita degli affreschi ebbe l'effetto di una bomba il prefetto di Venezia Lorenzo Fabris si preoccupò e scrisse al delegato straordinario del comune di Mira (allora commissariato) segnalando che il Governo aveva il diritto di prelazione per l'acquisto. Il delegato risponde laconico che Homero, il proprietario, sosteneva che i due leoni marciani non fossero di marmo ma di pietra d'Histria e non antichi del secolo scorso; e infine nessuno si oppone alla prelazione del Governo.
LA RESA ALLA FRANCIA
Speranze? Macchè. Fabris scrive a Mira l'ultima lettera che ha il segno della resa: Il Ministero dice che per i leoni non vale la pena di sollevare questioni () In quanto poi agli affreschi del Tiepolo poiché la R. Accademia di Belle Arti non crede che convenga valersi del diritto di prelazione e poiché il Governo non potrebbe staccare dal palazzo i dipinti suddetti, senza il rimorso di fare opera a danno del pregio artistico dei dipinti; detto Ministero lascia al proprietario di fare ciò che gli talenta, facendogli però osservare che staccando quegli affreschi egli fa opera non buona e che strappa dal suo luogo una memoria cara a Venezia. E se le leggi, aggiunge il Ministro, non possono impedirgli di fare tanta iattura ne avrà però certamente biasimo da chiunque ama e rispetti i ricordi della patria. Intrasportabili gli affreschi? Giuseppe Steffanoni, il più grande staccatore d'intonaci dell'area in poche settimane sistemò gli affreschi su tela facendoli arrivare nell'agosto del 1893 a Parigi con piccoli danni. Vent'anni fa l'ultimo restaurato anche col contributo delle Assicurazioni Generali.
A PARIGI
È andata a finire che per 30 mila lire di allora (circa 100mila euro di adesso) quasi 80 metri quadri di affresco di Tiepolo di una villa del veneziano si possono vedere a Parigi pagando 12 euro d'ingresso in quello che il critico Adolfo Venturi, nel 1914, descrisse come una risorta casa del Rinascimento italiano. È vero, il posto è bello perchè c'è da estasiarsi con le opere di Bellini, Mantegna, Crivelli, Schiavone, Vittore Carpaccio. Così quando si entra nella sala veneziana stringe il cuore sapere che per soldi, solo per soldi, la bellezza della Serenissima è in gran parte a Parigi. Non si è affranti a sufficienza fino a quando, nel ristornate del museo, non si guarda l'affresco del soffitto che stava a Mira. Tiepolo si è dipinto in un lato con il figlio: indicando con un braccio l'arrivo delle persone. Struggente, se quel saluto non sembrasse anche piccola beffa di un artista ironico.
Adriano Favaro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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