«La satira reagisce e spera E non può avere bavagli»

Martedì 25 Settembre 2018
«La satira reagisce e spera E non può avere bavagli»
IL PERSONAGGIO
«Toscani l'ho conosciuto da poco: mi ha fotografato all'interno di una campagna in cui raffigura uomini che fumano il toscano. E io sono un fumatore accanito. Poi mi ha invitato a Fabrica e mi sono lasciato coinvolgere, ma non so come andrà. Io non sono affatto bravo in queste cose». Francesco Tullio Altan ha lasciato la bicicletta tre anni fa per un problema al tendine. La matita invece è ancora salda. E al toscano non rinuncia. «Si lo so, dovrei smettere. Si lo so, fa male. Ma uno i vizi ce li ha e basta». Sempre a distanza di sicurezza da mondanità e affollamenti, sempre con quella penna cinica e insieme vitale, il filosofo della vignetta, padre di Cipputi Gino e della Pimpa ama i ritmi lenti della campagna di Aquileia, dove vive con la moglie Mara da molti anni. Non so se sia il posto migliore per osservare la realtà senza distrazioni. È sicuramente un modo giusto per me. Non amo le città. Altan sarà a Fabrica, il laboratorio di idee di Treviso, il 15 ottobre per un incontro aperto sul tema della creatività. A Treviso è nato, sotto le bombe del 1942. «Mia madre è trevigiana. Le è parso naturale partorire a casa sua. Mio padre (l'antropologo Carlo Tullio ndr) era prigioniero in Albania. Sono nato all'ospedale vecchio, quello dei Battuti, dove oggi c'è il Quartiere Latino. Poi a Treviso siamo sempre tornati, per la precisione a Zenson di Piave dove mia madre è vissuta fino a pochi anni fa».
Ma davvero ha iniziato la sua carriera con Playmen?
«Eh si. Ero giovanissimo, facevo vignette esistenziali, a volte surreali. Il loro contenuto, preciso, era slegato rispetto alla linea del giornale!».
Poi l'esperienza in Brasile. Film, favole e vignette in incognito. E' stato anche lei clandestino..
«Si, ma la mia era una clandestinità di lusso, una cosa molto comoda. Ero entrato con un permesso turistico e quindi lavoravo in nero, ma si trattava di avventure picaresche che non mi sognerei mai di mettere a confronto con la durissima e tragica vita dei migranti attuali».
Gli anni in Sudamerica però non sono stati una parentesi generica.
«Ho conosciuto mia moglie Mara. Faceva la costumista. La incontrai nel 1970, nel 1971 è nata nostra figlia. Stiamo insieme da oltre 40 anni. E fino a poco tempo fa, per un antico patto tra noi, i viaggi in Brasile erano almeno 4 l'anno. Ora abbiamo ridotto, per lavorare devo trovare la concentrazione giusta».
Il mondo di Altan nasce in Friuli, nella casa che fu del nonno, immersa in una campagna discreta e silenziosa.
«Sto bene qui, ad Aquileia, detesto spostarmi. Lo facevo volentieri solo in bicicletta, mia autentica passione. Ma un tendine a pezzi mi ha privato di questo piacere da qualche tempo.
Come nascono le sue vignette?
«Un tempo nasceva prima l'immagine, e poi c'era la ricerca del testo. Oggi è diverso. Parto da ciò che voglio dire, poi intorno costruisco il resto.
Sulla satira lei ha spesso ripetuto che è un errore uscire dal contesto.
«Lo ribadisco. La vignetta ha senso, valore e dirompenza per il mezzo per cui nasce. Se viene messa sul web una circolazione massiva e acritica rischia di snaturarne il senso.
Il web per lei è quindi spazio di libertà o grande casino?
«Sicuramente la seconda definizione. Luogo in cui in maniera più o meno anonima ognuno libera gli istinti più bassi. Non mi piace».
Avrebbe fatto un vignetta come quella di Charlie Hebdo su Genova? Ritiene esistano dei limiti nel suo lavoro?
«La satira non può avere bavagli. Ma io quella vignetta non l'avrei fatta.
Matrimonio Lega Cinque Stelle, come lo vede il signor Cipputi Gino, il metalmeccanico rassegnato ma sferzante che ha incarnato la classe operaia italiana fino a Tangentopoli?
«Non mi ha detto ancora nulla il Cippa su questa cosa. Ma se mi chiedesse cosa ne penso io, direi che non mi fa granchè piacere.
La Pimpa incanta ancora i bambini? O ormai hanno perso ingenuità?
«Diciamo che i lettori della Pimpa sono sempre più piccoli. Oggi i bimbi che la leggono hanno al massimo 7/8 anni. Poi si entra in un mondo completamente diverso.
Ai politici lei non fa sconti. Ne ha conosciuto qualcuno con un vero senso dell'umorismo?
«Non ne ho incontrati molti, ma non ne conosco nessuno davvero incline all'autoironia.
Nel nuovo panorama, c'è qualche nome che le ispirerebbe una vignetta?
«Oggi non serve più trasformare i politici in macchiette. Ci pensano già loro ad essere la caricatura di se stessi».
Le piace il mondo attuale?
«Mica tanto. Non è un bel mondo, oggi più che mai la satira serve. Non per la vis polemica, ma perchè nella satira vi è una forza al cambiamento. La satira reagisce e spera. Un antidoto all'acquiescenza dilagante».
La morte di Vincino ha messo in luce una Treviso sconosciuta, un po' carbonara. Quella di Malox e degli esordi di Beppe Mora. Conosce?
«Si. Ed ero tanto amico del Treviso Comic Books di Silvano Mezzavilla».
Quale parola le suggerisce il ritorno a Treviso?
«Bellezza. Ma sono invece molto arrabbiato per quello che hanno fatto alla Marca rurale. Un cimitero di capannoni si è mangiato la campagna della mia infanzia».
Poche uscite pubbliche, ancor meno talk. Anche intervistarla è un po' sforzo maieutico. Un workshop deve essere una specie di triplocarpiato per lei.
«Mi fido molto di Toscani e del suo fascino affabulatorio. Sono timido, lo sono sempre stato. Ma con il tempo la situazione è un po' migliorata».
Elena Filini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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