La Paranza fa contenti gli italiani

Domenica 17 Febbraio 2019
La Paranza fa contenti gli italiani
GRAN FINALE
Nel giorno in cui l'angelo Damiel ha deciso di accasarsi per sempre nel cielo sopra Berlino, l'Orso d'oro della 69edizione della Berlinale va al film franco-israeliano Synonymes del regista, nativo di Tel Aviv, Nadav Lapid, un riconoscimento decisamente accettabile per un'opera che tratta l'integrazione, soprattutto la sua illusione, all'interno di una narrazione che mostra la passione per il cinema e per quelle storie che oggi meritano di essere raccontate, in una società multietnica che solo all'apparenza crede di aver raggiunto un ecumenismo reale.
SODDISFAZIONE TRICOLORE
Non va male all'Italia: si sperava qualcosa di più, perché La paranza dei bambini è un gran bel film, ma anche non facilissimo da essere compreso e assimilato, specie nella sua originalità rispetto ai clichè gomorristici, da una giuria che probabilmente non conosce bene il contesto in cui il film si muove. Claudio Giovannesi, assieme a Maurizio Bracci e Roberto Saviano (dal cui libro è tratto il film), è stato premiato per la miglior sceneggiatura. Comunque è già importante che la giuria lo abbia meritatamente nominato. Non senza la consueta punta polemica Roberto Saviano ha dedicato il premio alle Ong che ogni giorno cercano di salvare le vite nel Mediterraneo, sottolineando come raccontare la verità oggi in Italia sia un problema molto complesso. Il regista dopo aver ringraziato un po' tutti, ha espresso una speranza: «Mi auguro che nel mio Paese l'arte e la cultura tornino a essere una priorità». Insomma è un bel premio, si può essere soddisfatti.
EQUITÀ
La scomparsa di Bruno Ganz ha indubbiamente segnato la cerimonia di premiazione: il grande attore è stato salutato da una prolungata, commovente standing ovation. Il palmares è stato distribuito con equilibrio e anche laddove i film hanno convinto meno, il riconoscimento appare pertinente. Di sicuro lo è il Gran Premio a Grâce à Dieu del francese François Ozon, finalmente entrato nel cuore di una Giuria, pessimistica lettura sociale sulla responsabilità, attraverso l'esperienza traumatica di tanti adolescenti boy-scout, costretti durante i campi estivi ad accontentare le ossessioni pedofile di un prelato, fino a trovare, anni dopo, la forza per denunciarlo. Un film di tante parole, forse troppe, ma che fanno da contraltare agli anni di silenzio per omertà e vergogna.
Fa festa anche la Cina che vede premiata la coppia d'attori Yong Mei e il marito sullo schermo Wang Jingchun per So long, my son. Alla regista tedesca Angela Schanelec va la miglior regia: I was at home, but è un film ostico, di quelli che si fanno apprezzare soprattutto da chi ama racconti anti-narrativi, ma è anche un riconoscimento a un'artista che da tempo segue con coerenza il suo percorso. Finiscono sul palco anche il film del norvegese Hans Petter Moland per il miglior contributo artistico (premio al fotografo Rasmus Videbaek) e lo scostante film System crasher della tedesca Nora Fingscheidt, che illustra l'emotività violenta di una ragazzina. A mani vuote il pur bello Öndög, girato in Mongolia e il super favorito della vigilia God exists, her name is Petrunya, rivendicazione femminile nella Macedonia dominata dai maschi e dalla Chiesa.
ORA SI CAMBIA
Si chiude l'era di Dieter Kosslick, direttore al timone della Berlinale dal 2001: non lo fa con un'edizione memorabile, anzi probabilmente si tratta della sua più modesta di sempre, d'altronde mettersi al lavoro sapendo già che si passerà la mano non aiuta. Il suo saluto è stato divertente, sul palco ha fatto il gigione, fuori da ogni etichetta di seriosità. Ora è probabile che si cambierà pagina. A Berlino arriva l'italiano Carlo Chatrian, che ha lasciato Locarno per intraprendere questa nuova avventura. Chatrian, originario di Torino, sarà il quinto direttore del Festival. In 70 anni. Qui per fortuna la politica resta piuttosto fuori dalla sala.
Adriano De Grandis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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