L'INTERVISTA
«Sono solo una persona che fa musica. Non un personaggio. Proprio

Lunedì 25 Giugno 2018
L'INTERVISTA
«Sono solo una persona che fa musica. Non un personaggio. Proprio non mi si addice». Eppure Ezio Bosso personaggio lo è, volente o nolente. Non nel senso di maschera in un ruolo, ma di protagonista di un'opera narrativa che è la sua stessa vita. Nato a Torino nel 1971, da famiglia operaia, a 16 anni esordì da pianista solista in Francia, diventò stimato compositore e direttore d'orchestra, sul podio per grandi orchestre italiane e internazionali. Nel 2011 la pausa per un via di un delicato intervento chirurgico e della malattia neurodegenerativa con cui convive. Non si è fermato. Con disciplina e passione ha avvicinato il pubblico alla musica classica. Nel 2016 l'esibizione al festival di Sanremo ha trionfato. Il pubblico se ne è innamorato, perché, come dice lui «Non è solo un concerto, è la vita che scorre». Ha trasformato il bastone fra le ruote nella bacchetta per sollevarsi da ogni peso. È stato eletto dal MiBACT testimone della Festa Europea Della Musica, è appena uscito con il doppio cd Ezio Bosso StradivariFestival Chamber Orchestra e riparte propri in questi giorni per un nuovo tour che lo porta in giro per l'Italia oltre ad una tappa a Bruxelles. Domani sarà infatti l'unico ospite italiano al Parlamento Europeo per la conferenza sull'eredità culturale in Europa.
Quale intervento ha preparato per Bruxelles?
«Parlerò del fatto che un musicista nasce per forza europeo. Sin da piccolo frequenta austriaci, francesi, belgi, studia da Wagner a Vivaldi. La cultura musicale definisce lEuropa, come l'architettura definisce gli stati. Per le sale da concerto americane, la cultura europea siamo noi, senza distinzioni fra italiani o tedeschi. Un principio che oltre quarant'anni fa fu messo in pratica con la European Union Youth Orchestra».
In questo tour dirigerà sinfonie sul viaggio dell'uomo attraverso gli oceani. Di questi tempi assume significato politico?
«Non mi piace la retorica né il termine migranti, come fosse una massa indistinta. Siamo tutti esseri migratori, da una condizione all'altra, in continuo divenire. Le città crescono, le società cambiano. Ho studiato a Vienna, sono dovuto andare in Australia e a Londra per lavorare. Spostarsi è migliorarsi. Se un musicista ha paura delle migrazioni, non è un musicista».
Che direttore d'orchestra è il Maestro Bosso?
«Un po' collega, padre, fratello. Credo nella condivisione del sapere perché è attraverso la conoscenza che si creano le azioni, la musica è fatta di azioni. Il crescendo è un'azione fisica, realtà oggettiva, non inerte»
L'orchestra è la sua società ideale?
«È un mutuo soccorso con gerarchie che vengono rispettate, un testo e un obiettivo comune, e ruoli di potere che sono principalmente di responsabilità. Il direttore, il primo oboe, il primo violino: di fatto siamo Re Nudi perché non possiamo nascondere nulla. Le note sbagliate sono sbagliate».
Ha diretto varie orchestre giovanili. Con gli adulti è più difficile?
«No. Nella società ideale esistono solo persone. A volte agli adulti lo devi ricordare, con i ragazzi invece devi costruire e realizzare».
Nel nuovo disco il suo nome è al fianco di Bach, Ciaikovsky, Cage, Marcello. Cosa vi unisce?
«La totale dedizione alla musica e allo studio. Voglio far conoscere questi uomini che hanno speso l'esistenza a cercare la perfezione, sapendo che non l'avrebbero trovata, perché l'importante non è il punto di arrivo ma il viaggio».
Come nasce il lavoro?
«Mi sono reso conto che la musica è la forma di trascrizione assoluta. Tolstoj la definiva stenografia dell'emozione'. Trascrive oggetti, pensieri, sentimenti. Bach trascrive sé stesso, Ciaikovsky trascrive Mozart, Cage trascrive addirittura il silenzio. La musica esiste a prescindere da noi, è nell'aria, nell'acqua, nel canto degli uccelli, e io ho cercato un linguaggio per ripetere quel benessere».
Il patimento è fondamentale nell'arte?
«No, è un luogo comune. Bach e Liszt erano persone felici. Il dolore è solo un elemento della nostra vita. Se lo accettiamo diventa costruttivo, se lo rifiutiamo ci paralizzerà. La quinta di Beethoven parte da un pensiero doloroso ma ci insegna che il destino che bussa alla porta, si può modulare. Apre alla vita con un lieto fine di dieci minuti».
Beethoven portò il corpo nella musica. Per lei il corpo è un limite?
«Non esistono i limiti. Chi ha un vero limite è chi lo vede negli altri. Semmai esistono le differenze. Sul pianoforte non posso suonare tutto, capisco fin dove si può arrivare e mi definisco un pianista all'occorrenza».
Gli impedimenti non si traducono in mancanze, se si agisce per compensazione.
«Certo, acuiscono sensi e pensieri. Non si ferma la vita per un problema che ci entra dentro. E sa, può essere una vita anche migliore, ma solo se continuiamo a vivere, essere noi stessi, senza maschere, lavorando duramente».
Ha un contratto triennale con la Sony e un'estate di concerti. Ci pensa al futuro?
«È un'ossessione che non mi appartiene. Spero di lasciare qualcosa, questo sì, e per costruire non devo mollare. Io riesco a pensare solo giorno per giorno e a fare bene oggi. E oggi è sempre il giorno più bello della mia vita».
Simona Orlando
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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