L'INTERVISTA
In questi giorni celebra il primo anno di incarico. Fortunato Ortombina, sovrintendente del Teatro La Fenice non nasconde la soddisfazione. Sul suo tavolo ci sono i dati della gestione di questi suoi primi 365 giorni nel tempio veneziano della musica. «Da gennaio di quest'anno - racconta - ora posso dire con piacere che abbiamo raggiunto un obiettivo importante: abbiamo superato i dieci milioni di euro solo grazie agli incassi. Un risultato probabilmente unico nel panorama italiano. E questo si deve, non solo al lavoro delle maestranze del Teatro, ma anche all'impegno di tenere aperto 250 giorni all'anno tra stagione lirica e quella dei concerti».
Sovrintendente, La Fenice continua a stupire.
«E continueremo a farlo. Ora nel segno innanzitutto di Verdi presentando il Macbeth che vedrà il maestro Myung-whun Chung misurarsi per la prima volta con questo testo verdiano. È indubbio, come abbiamo già detto altre volte, che il nome del compositore di Busseto è intimamente legato alla città e al nome della Fenice. Il debutto di Chung alla direzione di quest'opera è comunque un nostro debutto».
E poi nel IV atto c'è un riferimento importante alla contemporaneità.
«C'è un brano che riprende il concetto delle foreste che si muovono. E il pensiero non può che andare a quanto è successo nelle nostre montagne negli scorsi giorni. È un omaggio ulteriore alle nostre genti».
Chung dirigerà anche il prossimo Concerto di Capodanno?
«La sintonia con il Maestro è totale. Sì, sarà lui a dirigere l'appuntamento del 1. gennaio. E poi farà anche l'Otello a primavera».
Torniamo allo stato di salute della Fenice...
«La nostra stagione oramai si caratterizza per un modello produttivo vincente. Dei dati ho già detto. E tutto ciò ci conforta soprattutto in tempi in cui i fondi dello Stato tendono a ridursi progressivamente. La conferma sta proprio nella stagione che andiamo ad iniziare».
Sarebbe a dire?
«Che siamo al centro della musica. Che offriamo una programmazione esemplare. Maggio sarà il momento clou. In un unico frangente, grazie alla duttilità del nostro palcoscenico e all'abnegazione delle maestranze, saremo in grado di offrire al pubblico Aida e Turandot e a continuare nella nostra azione di rivalutazione di Antonio Vivaldi».
Tanto per non fare concorrenza a nessuno...
«No, per andare avanti per la nostra strada. E a chi dice che l'Aida si può fare solo in Arena, io dico che La Fenice è una sede ideale, anche ed esclusivamente per l'eccellente acustica del nostro teatro».
Insomma, un guanto di sfida?
«Ma no. L'Aida è stata nei cartelloni della Fenice. L'ultima, a parte la parentesi al Palafenice al Tronchetto dopo il rogo, fu nel 1984. Ora ci riproviamo. Punto. E qui scatta anche il modello Fenice...».
Cioè?
«Abbiamo ripreso in mano gli allestimenti di Mario Ceroli e i costumi di Aldo Buti del 1986, che erano in magazzino e abbiamo deciso di riutilizzarli così come abbiamo rivalutato la regia d'allora che fu di Mauro Bolognini, ripresa ora da Bepi Morassi. E ancora, il cartellone sarà alternato con la programmazione di Turandot. Tutto ciò ci è concesso dalla nuova struttura del palcoscenico. Agli allestimenti è stata chiamata l'artista Monica Bonvicini responsabile di concept, scene e costumi dello spettacolo, grazie alla collaborazione con lo staff di Ralph Rugoff, direttore della prossima 58. Biennale d'Arte».
A proposito di debutti, La Fenice sta diventando sempre più fucina di nuovi interpreti. Insomma, fa da battistrada per nuove voci e nuovi personaggi.
«Anche questo è un metodo che abbiamo inteso proseguire con cura e con tenacia. Del resto anche la Callas fu inventata alla Fenice... Ed ecco quindi Francesco Meli all'esordio italiano nel ruolo di Radames nell'Aida; il tenore Piero Pretti nel ruolo di Werther di Eduard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann e tanti altri».
Oltre Verdi e Puccini, anche Mozart e Vivaldi.
«Per il genio di Salisburgo siamo andati a scovare due titoli raramente eseguiti, accomunati dalla firma di Pietro Metastasio come autore del libretto: Il sogno di Scipione con un nuovo allestimento a cura di Elena Barbalich e la direzione musicale di Federico Maria Sardelli, in collaborazione con l'Accademia di Belle arti di Venezia; e inoltre Il Re Pastore, con la regia di Alessio Pizzech, anche qui con la direzione di Sardelli».
Tante riscoperte che offrono ulteriore valore aggiunto.
«Senz'altro. E a queste opere mozartiane aggiungiamo il recupero di due titoli di Albinoni, riprendendo il senso di quanto fatto in passato, come La Statira e il Pimpinone. Per il ciclo vivaldiano proporremo al pubblico Dorilla in Tempe, melodramma eroico in tre atti in un nuovo allestimento. E per chi non si accontenta delle nuove proposte e dei nuovi allestimenti, può andare sul sicuro come detto con Aida, con Turandot e anche con le altre opere che riproporremo: L'Italiana in Algeri in omaggio a Rossini e con le altre riprese (La Traviata, Don Giovanni, Il Barbiere di Siviglia, Madama Butterfly o Tosca)».
Ci sarà anche spazio per l'opera contemporanea?
«In cartellone abbiamo la prima esecuzione italiana in una rinnovata versione, con finale inedito, di Luci mie traditrici, opera in due atti con libretto e musica di uno dei nostri maggiori compositori contemporanei come Salvatore Sciarrino, con la direzione di Tito Ceccherini».
Ci sono in programma delle tournèe all'estero per la Fenice?
«Stiamo lavorando, e siamo a buon punto, per una missione sul finire del 2019. Ma è un po' presto ancora per parlarne».
Sovrintendente Ortombina è vero che i numeri non sempre danno il senso dell'impegno, ma in cifre come potrebbe essere presentata La Fenice?
«Direi questo: per questa stagione offriamo ad un pubblico sempre più metropolitano, con tanti stranieri sì, ma anche molti veneti che vengono a teatro, 21 titoli. Dieci di essi sono completamente nuovi, undici sono le riprese. Se poi ci mettiamo un bilancio in pareggio per l'ottavo anno consecutivo, il gioco è fatto».
Paolo Navarro Dina
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA In questi giorni celebra il primo anno di incarico. Fortunato Ortombina, sovrintendente del Teatro La Fenice non nasconde la soddisfazione. Sul suo tavolo ci sono i dati della gestione di questi suoi primi 365 giorni nel tempio veneziano della musica. «Da gennaio di quest'anno - racconta - ora posso dire con piacere che abbiamo raggiunto un obiettivo importante: abbiamo superato i dieci milioni di euro solo grazie agli incassi. Un risultato probabilmente unico nel panorama italiano. E questo si deve, non solo al lavoro delle maestranze del Teatro, ma anche all'impegno di tenere aperto 250 giorni all'anno tra stagione lirica e quella dei concerti».
Sovrintendente, La Fenice continua a stupire.
«E continueremo a farlo. Ora nel segno innanzitutto di Verdi presentando il Macbeth che vedrà il maestro Myung-whun Chung misurarsi per la prima volta con questo testo verdiano. È indubbio, come abbiamo già detto altre volte, che il nome del compositore di Busseto è intimamente legato alla città e al nome della Fenice. Il debutto di Chung alla direzione di quest'opera è comunque un nostro debutto».
E poi nel IV atto c'è un riferimento importante alla contemporaneità.
«C'è un brano che riprende il concetto delle foreste che si muovono. E il pensiero non può che andare a quanto è successo nelle nostre montagne negli scorsi giorni. È un omaggio ulteriore alle nostre genti».
Chung dirigerà anche il prossimo Concerto di Capodanno?
«La sintonia con il Maestro è totale. Sì, sarà lui a dirigere l'appuntamento del 1. gennaio. E poi farà anche l'Otello a primavera».
Torniamo allo stato di salute della Fenice...
«La nostra stagione oramai si caratterizza per un modello produttivo vincente. Dei dati ho già detto. E tutto ciò ci conforta soprattutto in tempi in cui i fondi dello Stato tendono a ridursi progressivamente. La conferma sta proprio nella stagione che andiamo ad iniziare».
Sarebbe a dire?
«Che siamo al centro della musica. Che offriamo una programmazione esemplare. Maggio sarà il momento clou. In un unico frangente, grazie alla duttilità del nostro palcoscenico e all'abnegazione delle maestranze, saremo in grado di offrire al pubblico Aida e Turandot e a continuare nella nostra azione di rivalutazione di Antonio Vivaldi».
Tanto per non fare concorrenza a nessuno...
«No, per andare avanti per la nostra strada. E a chi dice che l'Aida si può fare solo in Arena, io dico che La Fenice è una sede ideale, anche ed esclusivamente per l'eccellente acustica del nostro teatro».
Insomma, un guanto di sfida?
«Ma no. L'Aida è stata nei cartelloni della Fenice. L'ultima, a parte la parentesi al Palafenice al Tronchetto dopo il rogo, fu nel 1984. Ora ci riproviamo. Punto. E qui scatta anche il modello Fenice...».
Cioè?
«Abbiamo ripreso in mano gli allestimenti di Mario Ceroli e i costumi di Aldo Buti del 1986, che erano in magazzino e abbiamo deciso di riutilizzarli così come abbiamo rivalutato la regia d'allora che fu di Mauro Bolognini, ripresa ora da Bepi Morassi. E ancora, il cartellone sarà alternato con la programmazione di Turandot. Tutto ciò ci è concesso dalla nuova struttura del palcoscenico. Agli allestimenti è stata chiamata l'artista Monica Bonvicini responsabile di concept, scene e costumi dello spettacolo, grazie alla collaborazione con lo staff di Ralph Rugoff, direttore della prossima 58. Biennale d'Arte».
A proposito di debutti, La Fenice sta diventando sempre più fucina di nuovi interpreti. Insomma, fa da battistrada per nuove voci e nuovi personaggi.
«Anche questo è un metodo che abbiamo inteso proseguire con cura e con tenacia. Del resto anche la Callas fu inventata alla Fenice... Ed ecco quindi Francesco Meli all'esordio italiano nel ruolo di Radames nell'Aida; il tenore Piero Pretti nel ruolo di Werther di Eduard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann e tanti altri».
Oltre Verdi e Puccini, anche Mozart e Vivaldi.
«Per il genio di Salisburgo siamo andati a scovare due titoli raramente eseguiti, accomunati dalla firma di Pietro Metastasio come autore del libretto: Il sogno di Scipione con un nuovo allestimento a cura di Elena Barbalich e la direzione musicale di Federico Maria Sardelli, in collaborazione con l'Accademia di Belle arti di Venezia; e inoltre Il Re Pastore, con la regia di Alessio Pizzech, anche qui con la direzione di Sardelli».
Tante riscoperte che offrono ulteriore valore aggiunto.
«Senz'altro. E a queste opere mozartiane aggiungiamo il recupero di due titoli di Albinoni, riprendendo il senso di quanto fatto in passato, come La Statira e il Pimpinone. Per il ciclo vivaldiano proporremo al pubblico Dorilla in Tempe, melodramma eroico in tre atti in un nuovo allestimento. E per chi non si accontenta delle nuove proposte e dei nuovi allestimenti, può andare sul sicuro come detto con Aida, con Turandot e anche con le altre opere che riproporremo: L'Italiana in Algeri in omaggio a Rossini e con le altre riprese (La Traviata, Don Giovanni, Il Barbiere di Siviglia, Madama Butterfly o Tosca)».
Ci sarà anche spazio per l'opera contemporanea?
«In cartellone abbiamo la prima esecuzione italiana in una rinnovata versione, con finale inedito, di Luci mie traditrici, opera in due atti con libretto e musica di uno dei nostri maggiori compositori contemporanei come Salvatore Sciarrino, con la direzione di Tito Ceccherini».
Ci sono in programma delle tournèe all'estero per la Fenice?
«Stiamo lavorando, e siamo a buon punto, per una missione sul finire del 2019. Ma è un po' presto ancora per parlarne».
Sovrintendente Ortombina è vero che i numeri non sempre danno il senso dell'impegno, ma in cifre come potrebbe essere presentata La Fenice?
«Direi questo: per questa stagione offriamo ad un pubblico sempre più metropolitano, con tanti stranieri sì, ma anche molti veneti che vengono a teatro, 21 titoli. Dieci di essi sono completamente nuovi, undici sono le riprese. Se poi ci mettiamo un bilancio in pareggio per l'ottavo anno consecutivo, il gioco è fatto».
Paolo Navarro Dina
© RIPRODUZIONE RISERVATA