L'INTERVISTA
In questi giorni celebra il primo anno di incarico. Fortunato Ortombina,

Mercoledì 21 Novembre 2018
L'INTERVISTA In questi giorni celebra il primo anno di incarico. Fortunato Ortombina,
L'INTERVISTA
In questi giorni celebra il primo anno di incarico. Fortunato Ortombina, sovrintendente del Teatro La Fenice non nasconde la soddisfazione. Sul suo tavolo ci sono i dati della gestione di questi suoi primi 365 giorni nel tempio veneziano della musica. «Da gennaio di quest'anno - racconta - ora posso dire con piacere che abbiamo raggiunto un obiettivo importante: abbiamo superato i dieci milioni di euro solo grazie agli incassi. Un risultato probabilmente unico nel panorama italiano. E questo si deve, non solo al lavoro delle maestranze del Teatro, ma anche all'impegno di tenere aperto 250 giorni all'anno tra stagione lirica e quella dei concerti».
Sovrintendente, La Fenice continua a stupire.
«E continueremo a farlo. Ora nel segno innanzitutto di Verdi presentando il Macbeth che vedrà il maestro Myung-whun Chung misurarsi per la prima volta con questo testo verdiano. È indubbio, come abbiamo già detto altre volte, che il nome del compositore di Busseto è intimamente legato alla città e al nome della Fenice. Il debutto di Chung alla direzione di quest'opera è comunque un nostro debutto».
E poi nel IV atto c'è un riferimento importante alla contemporaneità.
«C'è un brano che riprende il concetto delle foreste che si muovono. E il pensiero non può che andare a quanto è successo nelle nostre montagne negli scorsi giorni. È un omaggio ulteriore alle nostre genti».
Chung dirigerà anche il prossimo Concerto di Capodanno?
«La sintonia con il Maestro è totale. Sì, sarà lui a dirigere l'appuntamento del 1. gennaio. E poi farà anche l'Otello a primavera».
Torniamo allo stato di salute della Fenice...
«La nostra stagione oramai si caratterizza per un modello produttivo vincente. Dei dati ho già detto. E tutto ciò ci conforta soprattutto in tempi in cui i fondi dello Stato tendono a ridursi progressivamente. La conferma sta proprio nella stagione che andiamo ad iniziare».
Sarebbe a dire?
«Che siamo al centro della musica. Che offriamo una programmazione esemplare. Maggio sarà il momento clou. In un unico frangente, grazie alla duttilità del nostro palcoscenico e all'abnegazione delle maestranze, saremo in grado di offrire al pubblico Aida e Turandot e a continuare nella nostra azione di rivalutazione di Antonio Vivaldi».
Tanto per non fare concorrenza a nessuno...
«No, per andare avanti per la nostra strada. E a chi dice che l'Aida si può fare solo in Arena, io dico che La Fenice è una sede ideale, anche ed esclusivamente per l'eccellente acustica del nostro teatro».
Insomma, un guanto di sfida?
«Ma no. L'Aida è stata nei cartelloni della Fenice. L'ultima, a parte la parentesi al Palafenice al Tronchetto dopo il rogo, fu nel 1984. Ora ci riproviamo. Punto. E qui scatta anche il modello Fenice...».
Cioè?
«Abbiamo ripreso in mano gli allestimenti di Mario Ceroli e i costumi di Aldo Buti del 1986, che erano in magazzino e abbiamo deciso di riutilizzarli così come abbiamo rivalutato la regia d'allora che fu di Mauro Bolognini, ripresa ora da Bepi Morassi. E ancora, il cartellone sarà alternato con la programmazione di Turandot. Tutto ciò ci è concesso dalla nuova struttura del palcoscenico. Agli allestimenti è stata chiamata l'artista Monica Bonvicini responsabile di concept, scene e costumi dello spettacolo, grazie alla collaborazione con lo staff di Ralph Rugoff, direttore della prossima 58. Biennale d'Arte».
A proposito di debutti, La Fenice sta diventando sempre più fucina di nuovi interpreti. Insomma, fa da battistrada per nuove voci e nuovi personaggi.
«Anche questo è un metodo che abbiamo inteso proseguire con cura e con tenacia. Del resto anche la Callas fu inventata alla Fenice... Ed ecco quindi Francesco Meli all'esordio italiano nel ruolo di Radames nell'Aida; il tenore Piero Pretti nel ruolo di Werther di Eduard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann e tanti altri».
Oltre Verdi e Puccini, anche Mozart e Vivaldi.
«Per il genio di Salisburgo siamo andati a scovare due titoli raramente eseguiti, accomunati dalla firma di Pietro Metastasio come autore del libretto: Il sogno di Scipione con un nuovo allestimento a cura di Elena Barbalich e la direzione musicale di Federico Maria Sardelli, in collaborazione con l'Accademia di Belle arti di Venezia; e inoltre Il Re Pastore, con la regia di Alessio Pizzech, anche qui con la direzione di Sardelli».
Tante riscoperte che offrono ulteriore valore aggiunto.
«Senz'altro. E a queste opere mozartiane aggiungiamo il recupero di due titoli di Albinoni, riprendendo il senso di quanto fatto in passato, come La Statira e il Pimpinone. Per il ciclo vivaldiano proporremo al pubblico Dorilla in Tempe, melodramma eroico in tre atti in un nuovo allestimento. E per chi non si accontenta delle nuove proposte e dei nuovi allestimenti, può andare sul sicuro come detto con Aida, con Turandot e anche con le altre opere che riproporremo: L'Italiana in Algeri in omaggio a Rossini e con le altre riprese (La Traviata, Don Giovanni, Il Barbiere di Siviglia, Madama Butterfly o Tosca)».
Ci sarà anche spazio per l'opera contemporanea?
«In cartellone abbiamo la prima esecuzione italiana in una rinnovata versione, con finale inedito, di Luci mie traditrici, opera in due atti con libretto e musica di uno dei nostri maggiori compositori contemporanei come Salvatore Sciarrino, con la direzione di Tito Ceccherini».
Ci sono in programma delle tournèe all'estero per la Fenice?
«Stiamo lavorando, e siamo a buon punto, per una missione sul finire del 2019. Ma è un po' presto ancora per parlarne».
Sovrintendente Ortombina è vero che i numeri non sempre danno il senso dell'impegno, ma in cifre come potrebbe essere presentata La Fenice?
«Direi questo: per questa stagione offriamo ad un pubblico sempre più metropolitano, con tanti stranieri sì, ma anche molti veneti che vengono a teatro, 21 titoli. Dieci di essi sono completamente nuovi, undici sono le riprese. Se poi ci mettiamo un bilancio in pareggio per l'ottavo anno consecutivo, il gioco è fatto».
Paolo Navarro Dina
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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