L'INTERVISTA
Dice che «Une femiène e ten sù tre ciantòns

Lunedì 19 Novembre 2018
L'INTERVISTA
Dice che «Une femiène e ten sù tre ciantòns de ciase». Una donna regge tre angoli della casa, racconta un proverbio friulano. Governa col marito Benito una famiglia di 16 persone, tre figlie, otto nipoti e sette sono femmine: tutti insieme fanno l'azienda. «Da Cenerentola a regina del mercato» ha di recente scritto della loro distilleria, la Nonino, l'autorevole Business Review della London School of Economics. Che è più di una laurea mondiale. «La grappa fa parte della mia vita, è una magia che mi è entrata nelle vene».
A 80 anni Giannola Bulfoni Nonino, da Percoto, guarda avanti. Continua a battersi da più di mezzo secolo per ottenere una legge a tutela della Grappa, a favore del consumatore: «Ci vuole l'obbligo in etichetta del nome del distillatore, se non è lo stesso anche quello dell'imbottigliatore oltre al metodo di distillazione. Basta con l'informazione ingannevole!».
Una sciarpa rossa, due pendenti neri alle orecchie e appeso a un filo scuro un grosso corno di corallo rosso come le righe del vestito. «Io non ho 80 anni, sono trentottina cioè nata nel 1938. Ottanta non mi piace e spiego perché: da ultracinquantenne quando leggevo sul giornale che qualcuno moriva a 80anni, dicevo che aveva vissuto abbastanza. Soffro d'insonnia, sul comodino ho un blocco per prendere appunti. Penso: fai tanti progetti, ma sai quanti anni hai? Ma se ho tanto entusiasmo perché mi devo limitare?». Percoto è nel mezzo di una pianura dove il Torre scorre a dividere la terra del frumento da quella dell'uva. Grazie ai Nonino, Percoto è oggi sinonimo di grappa di qualità e di una famiglia di distillatori con oltre 120 anni di storia. Un fatturato di 15 milioni, metà in 78 paesi, soprattutto in Germania.
Come era la famiglia Bulfoni 80 anni fa?
«Mio papà Gigi era nato in Argentina, a Rosario di Santa Fè, terzo figlio di un emigrante. È rientrato a Percoto bambino e ha fatto la Grande Guerra come Ragazzo del 99. Suo padre aveva investito in questa proprietà in paese, con osteria e Posta dei cavalli. Anche mio padre è stato in Argentina e al ritorno ha aperto una fabbrica d'aratri con 60 operai; l'ha chiusa negli anni Cinquanta, senza licenziare nessuno, convertendola in mobili di ferro. A Percoto per i prototipi venivano i grandi del settore, come Giò Ponti; al Mo-ma di New York sono esposti pezzi creati in azienda».
E come era Giannola?
«Ero stata allevata come la principessa sul pisello della favola, controllata, non potevo fare tardi. Ho sempre amato stare in compagnia e nei pomeriggi d'estate aspettavo che tutti si addormentassero per raggiungere gli amici, in riva a un ruscelletto dove stavano tutti, anche Benito l'uomo che ho sposato. A 18 anni ho fatto la festa della mia matricola alla quale era invitato pure Benito, un anno dopo è nato l'amore. Studiavo lingue a Ca' Foscari, ho interrotto dopo che mio padre fu colpito da un ictus e con mia sorella Annina abbiamo dovuto occuparci dell'azienda. Prendevo la Giardinetta, caricavo i banchi e le sedie e andavo a venderli. Mio padre è morto a 72 anni dopo sette infarti, è stato come se si fosse staccata una parte di me».
A un certo punto entra in scena Benito Nonino
«Mio marito Benito è l'uomo della mia vita, mi sono innamorata prima di lui e poi della sua arte della distillazione. Mi ha insegnato tantissimo, io ci ho messo passione e un marketing che ancora non era così diffuso. La nostra è un'unione di lotta continua, lavorare nella stessa azienda non è facile. Era stato alunno della mia mamma, mi piaceva tanto, mi ricordava Marlon Brando al tempo del Selvaggio. Ora che ci penso, è strano, ma in vita mia non ho mai ricevuto un complimento da lui. Mi chiamava Melonaria perché ho la testa grande o Ragno perché diceva che in bicicletta sembravo un ragnetto che pedalava. Una volta mi ha detto Piccolo scrigno, una sola volta! Ho pensato: adesso muoio. Ci siamo sposati nel maggio 1962. Dopo il matrimonio siamo andati a vivere con sua madre rimasta vedova, donna eccezionale che aveva avuto una vita non facile, un maresciallo di ferro».
Una convivenza complicata?
«Mia suocera rappresentava il contrario rispetto a me che ero coccolata. Quando vado a augurarle la buonanotte, si rivolge al figlio: Questa è diventata matta, mi viene a baciare prima di andare a letto. Dopo sei mesi riempio la valigia e torno a casa dei miei: Sei venuta a pranzare con noi?, mi chiede papà. Aggiunge: Ti vogliamo tanto bene, ma questa non è più casa tua. Ho ripreso la valigia e sono tornata indietro».
Poi è iniziata la nuova storia della distilleria Nonino
«Dopo il matrimonio ho chiesto a Benito di aiutarlo nel suo lavoro, così in piena estate sono andata ad acquistare la vinaccia dai vignaioli più prestigiosi. Guidavo un Leoncino, bisognava fare la doppietta che richiedeva forza fisica, per cambiare le marce mi mettevo quasi in piedi. Le mie figlie, si può dire, sono nate nelle vinacce. C'erano allora molti conti e contesse che avevano vigne e terreni. Vado a Cividale dall'ingegner Rubini, un uomo altissimo che si affaccia, vede che indosso la minigonna e dice: Riferisca a suo marito che se pensa di conquistarmi con una minigonna, si sbaglia. Mio padre mi aveva insegnato a non mollare mai, così per una settimana ho continuato a bussare, fino a quando ha firmato il contratto».
Dalle vinacce alla distillazione
«Poi Benito mi ha insegnato a distillare e lì sono rimasta folgorata, c'è magia, qualcosa di unico. Ero molto orgogliosa della nostra grappa, volevo che conquistasse lo status dei più nobili distillati, abbiamo impiegato dieci anni. Decidiamo di distillare le vinacce separate di un singolo vitigno per esaltarne le caratteristiche e puntiamo sul Picolit. La prima sperimentazione l'abbiamo dedicata a Luigi Veronelli che allora era il dio dell'enogastronomia. È venuto a Percoto il 1°dicembre 1973, a mezzogiorno mio marito distillò goccia a goccia la Prima Grappa Cru Monovitigno. Gridai: Benito! Benito! Ce l'abbiamo fatta. Ho sentito il profumo del miele d'acacia, della mela cotogna matura. Ne ha scritto Veronelli e da lì è nata la rivoluzione e la fiaba».
Avete creato un premio diventato internazionale
«Nel 1975, per salvare Schioppettino, Pignolo ed altri prestigiosi vitigni autoctoni friulani abbiamo istituito un Premio da assegnare ai vignaioli: il Risit d'aur, barbatella d'oro. Dopo pochi anni il Premio è diventato internazionale, era nato il Nonino, arrivato alla 44esima edizione. Ricordo con particolare affetto Jorge Amado, il premio è legato alla presenza, ma Amado aveva paura di volare. Io da incosciente telefono a casa sua e parlo in veneto, tutto d'un fiato: Mi son Gianola fazso sgnappa gavemo un premio ma bisogna che venga a Percoto. Risponde una voce femminile: E mi so' Zelia Gatai, son de Pieve del Cadore e son la moglie de Jorge. Le digo subito che mi, Jorge, Paloma e Joan saremo a Percoto a ritirare il premio. Siamo diventati amici. Il New York Times del 31 dicembre 1997 ci ha dedicato una pagina intera, ha scritto che per decenni la grappa era stata poco più di una forma tascabile di riscaldamento per i contadini del Nord Italia, ma tutto questo accadeva prima dei Nonino di Percoto!».
Adesso l'azienda affronta il passaggio generazionale, i compiti sono già divisi tra le figlie: Antonella cura il marketing e la comunicazione e il Premio; Elisabetta le risorse umane e una parte dell'estero; Cristina la distillazione e le vendite in Italia. Dicono le figlie: «Siamo cresciute con la disponibilità di fare tutte tutto. Abbiamo anche l'età giusta per il salto, tutte oltre i 50 anni; lo facciamo con l'angelo custode un po' ingombrante. Noi siamo una famiglia di matti, la mamma lo dice sempre».
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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