L'INTERVISTA
«Cosa volevo fare da grande? Mia mamma sostiene che ero un

Lunedì 24 Settembre 2018
L'INTERVISTA
«Cosa volevo fare da grande? Mia mamma sostiene che ero un bambino particolarmente vivace. Ho fatto il boy scout con serietà e da studente mi sono appassionato alla politica che mi è rimasta incollata addosso fino al 2006, quando ho chiuso senza rimpianti. Ho fatto tante cose: l'avvocato, il professore universitario, il leader dell'opposizione in Regione, il parlamentare europeo Non sono pentito di niente, però era arrivato il momento in cui l'impresa meritava attenzione. E questa è la mia vita».
Massimo Carraro, 59 anni, padovano di Camposampiero, è il signor Morellato, l'azienda di Santa Giustina in Colle famosa nel mondo per i suoi cinturini, gli orologi e i gioielli da vivere. Un fatturato che toccherà i 180 milioni di euro a fine anno, filiali all'estero, 1360 dipendenti dei quali 750 in Italia tra Veneto e l'area comunicazione di Milano. Tre soci: Massimo con la moglie Cristina e col fratello Marco.
Una storia incominciata quasi novant'anni fa a Venezia. Giulio Morellato è un orologiaio che decide di puntare sulla fabbricazione di cinturini. Con coraggio, perché negli Anni Trenta il cinturino non era così diffuso; l'orologio classico era quello da taschino con la catena. Il cinturino in Italia si affermerà dopo la Seconda guerra mondiale. «Era un antesignano, ha creduto nel prodotto giusto, in piena Ricostruzione ha aperto una fabbrica in terraferma. Ha scelto Piombino Dese che è il primo comune padovano dopo la provincia di Venezia». La fabbrica si trasferirà a Santa Giustina in Colle all'alba degli Anni Sessanta.
Morellato passa la mano al figlio e a due collaboratori stretti, tra i quali Silvano Carraro, il padre di Massimo. Sarà proprio Silvano a trasformare in vera industria l'artigianato del cinturino: «Mio padre era una persona molto curiosa, con una grande capacità di stare tra gli altri. Era un imprenditore vero. Ha fatto il modo che ognuno di noi studiasse seguendo le proprie inclinazioni».
Quando Massimo Carraro entra nella Morellato?
«Io sono entrato nel 1988, prima avevo fatto l'avvocato e anche il dottorato all'università, ho un ricordo bellissimo del professor Mazzarolli. Mio fratello Carlo ha fatto la carriera universitaria, è andato in America per studiare, è stato anche rettore di Ca' Foscari. A un certo punto mi sembrava che la professione legale e l'insegnamento non fossero per me abbastanza concreti».
Tutto così facile?
«No, sono entrato in azienda con mio fratello Marco e tutto sarebbe stato molto più complicato se non avessi trovato un banchiere coraggioso, altra razza oggi estinta, che ci ha aiutati. Avevamo solo debiti, ma Silvano Pontello ha creduto in noi. Io volevo crescere, gli altri soci erano più interessati a monetizzare ed è stata una scelta condivisa. Non ho mai litigato con nessuno.
Pontello, morto nel 2002, direttore generale della Banca Antoniana e poi ispiratore dell'Antonveneta, è stato l'uomo che negli Anni '90 ha creato una sorta di merchant bank al servizio della media impresa per il miracolo del Nordest.
Che tipo di banchiere era Pontello?
«Ecco, sapeva ascoltare e credere nella nostra voglia di crescere. È stato importante per una generazione di imprenditori. Siamo ripartiti dal cinturino col quale abbiamo iniziato lo sviluppo internazionale, poi dal Duemila c'è stata l'idea innovativa che ci ha fatto crescere: il gioiello da vivere. Cioè l'idea di un gioiello contemporaneo, che si vendesse per lo stile e l'eleganza e non per il materiale prezioso. Era nato il gioiello moderno e l'idea, a essere sincero, me l'aveva data mia moglie: aveva un papà appassionato di cose belle che le regalava gioielli che, però, non andavano bene per tutti i giorni, per andare in ufficio. Mia madre, per esempio, ha sempre fatto la casalinga e stava in casa vestita da donna di casa; quando usciva, si metteva in ghingheri. Adesso puntiamo su un bracciale rigido ma elastico perché possa adattarsi al polso: lo produciamo in argento elasticizzato, lavoriamo i metalli con memoria della forma».
Cosa occorre per farsi strada oggi?
«Noi siamo tra le poche aziende venete che ha fatto innovazione di prodotto, abbiamo interpretato il costume. Questo ci ha consentito nel 2006 di comprare un'altra azienda storica divisa tra Napoli e Milano, la Sector, che era in difficoltà. Poi abbiamo acquisito marchi come la Philip Watch e più avanti, in licenza, i marchi Maserati, Trussardi, Furla e altri importanti in distribuzione. Così siamo entrati nel mondo dell'orologio, è un settore il nostro nel quale un po' tutti fanno gioielli e orologi. Il terzo passaggio strategico è stato l'integrazione della vendita con negozi specializzati multimarca e abbiamo acquisito la catena Bluespirit presente nei centri commerciali. L'ultima innovazione riguarda lo sviluppo del commercio online, con il più importante sito specializzato di orologi in Italia».
La Morellato deve molto alla pubblicità e ai testimonial
«Abbiamo costantemente investito in comunicazione e pubblicità su giornali e televisioni. Per anni il più grande fornitore di Morellato è stata Publitalia, Mediaset con le sue tv. Oggi abbiamo aggiunto l'investimento sui social. Ricordo come testimonial Ben Affleck reduce dallo strepitoso successo di Pearl Harbor: andai a Los Angeles a cercarlo e a fargli firmare il contratto. Qualche anno fa la top model Irina Shayk, quando era la fidanzata di Cristiano Ronaldo. Mio figlio è tornato da Madrid con la maglietta di CR7 e una dedica speciale, al futuro campeon, non voleva più toglierla, ci andava a dormire. Adesso la nostra testimonial è Michelle Hunziker».
E la vita politica di Massimo Carraro che fine ha fatto?
«La politica è la passione che mi ha accompagnato dai 18 ai 50 anni. Dopo essere stato il candidato del Centrosinistra alla Regione Veneto, nel 2006 ho dato le dimissioni. Ho detto che me ne andavo Perché Galan gestisce affari e una parte dei miei sono d'accordo con lui. Non mi pare che il tempo mi abbia dato torto, ho dovuto aspettare dieci anni e la vicenda Mose perché si capisse il senso di quelle parole. Mi ha portato a lasciare la percezione che uno va in battaglia sapendo che ti sparano quelli che hai davanti. Ma se ti sparano anche i tuoi alle spalle, allora è meglio che torni a casa».
Ritornerà su quella scelta?
«La mia scelta è stata quella di fare l'imprenditore, siamo rimasti il più grande gruppo italiano del settore. Quella italiana è una grande tradizione nell'orologeria e nella gioielleria, ma i francesi stanno acquisendo molte aziende italiane, da Bulgari a Pomellato. Fanno come hanno fatto con le nostre banche. Noi interpretiamo i marchi italiani nel mondo. Mi ritengo fortunato: faccio un mestiere dove il cambiamento è velocissimo e questo mi costringe a pensare in fretta. Guai a fare un lavoro sempre uguale».
Come vede il Veneto in questo cambiamento rapidissimo?
«Il Veneto di oggi è molto più integrato nel commercio mondiale rispetto a qualche decennio fa. Quando ho incominciato l'estero era l'Europa, adesso è il mondo. Questo ti pone il problema della dimensione: piccolo era bello, ora non più. Però vedo che i veneti sono gente tosta, con voglia di fare, di investire. A me pare che questa terra sia ancora di quelle, in Europa, che vogliono giocare la partita per vincere. Quando ho cominciato il riferimento erano 300 milioni di europei, oggi sono 4 miliardi. Pensa quanti polsi per orologi, quanti colli per una collana, quante dita per anelli?».
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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