Emma e il pianoforte di Sacile

Mercoledì 16 Gennaio 2019
Emma e il pianoforte di Sacile
LA STORIA
Chi ha visto Il verdetto-The Children Act avrà notato che l'attrice Emma Thompson nel film interpreta la parte di una giudice minorile suona un pianoforte marchiato Fazioli. Ebbene, quello strumento è arrivato sul set britannico direttamente da Sacile, provincia di Pordenone. La Fazioli è l'unica fabbrica italiana di pianoforti (le si affianca soltanto un artigiano, Silvano Zanta, con laboratorio a Camponogara, nel veneziano), ci lavorano cinquanta persone che producono 140 pianoforti all'anno, per un fatturato attorno ai nove milioni di euro. Si tratta di strumenti da concerto, di altissimo livello, e quindi piuttosto costosi. L'azienda si trova in un edificio modernissimo, poco fuori Sacile, da poco più di un paio d'anni è stata quasi raddoppiata, passando da 4.400 a 8.200 metri quadri di superficie coperta.
DAI MOBILI ALLA MUSICA
La storia comincia nei primi anni Settanta quando la famiglia Fazioli si trasferisce da Roma in quest'angolo del Nordest, dove ha rilevato una fabbrica di mobili per ufficio. Paolo Fazioli, l'attuale titolare, al tempo forte di una laurea in ingegneria e di una passione per il pianoforte, si mette in un angolo dell'azienda dei genitori a produrre strumenti. Evidentemente gli vengono bene, poiché nel 1981 si mette in proprio. «Mi piacciono i pianoforti», spiega Paolo Fazioli, «ho cercato di approfondirne la conoscenza visitando fabbriche. Al tempo il mercato era monopolizzato dalle marche tedesche, l'idea era di costruire un pianoforte avendo a disposizione cognizioni tecniche, scientifiche e artistiche: c'era spazio per nuove proposte. Il primo pianoforte l'abbiamo collocato a un rivenditore di Pordenone, il secondo in Germania.
CINESI PAZZI PER IL PIANOFORTE
Oggi esportiamo il 95 per cento della nostra produzione: vendiamo in Europa, soprattutto in Germania, negli Stati Uniti, in Asia. Ci mancano il Sud America e il Sudafrica». Il mondo della musica sta cambiando profondamente: il mercato europeo è in netto calo, mentre c'è un boom di richieste in Cina. «L'interesse che lì si registra per il pianoforte», osserva Fazioli, «è pari a quello che c'è da noi per il calcio: i giovani fanno a gara per chi suona meglio, hanno i loro idoli. Ci sono 50 milioni di cinesi che suonano il pianoforte. Non è come qui che se un ragazzo suona il pianoforte nelle scuole rischia di essere considerato uno sfigato». A Paolo Fazioli non piace che si contragga la parola pianoforte in piano, come spesso accade, anche per una forma di rispetto nei confronti del suo quasi sconosciuto inventore, il padovano Bartolomeo Cristofori, vissuto nella seconda metà del Seicento. «L'inventore ha messo a punto uno strumento in grado di suonare piano e forte, cosa che il precedente clavicembalo non era in grado di fare» chiamarlo solo piano, quindi, fa ne venire meno l'essenza di fondo. Ogni strumento ha una sua sonorità e un pianoforte fabbricato in Germania, Austria o America suona diversamente da uno costruito in Italia.
SUONO ALL'ITALIANA
La sfida di Fazioli è stata proprio quella di creare un pianoforte dalle sonorità «italiane», ovvero che richiamino le caratteristiche musicali del «paese del bel canto», così diverse da quelle della musicalità dell'Europa centrale. Non a caso Fazioli spiega che i suoi strumenti si differenziano dagli altri per la filosofia che sta loro dietro. «È un nostro progetto», spiega, «concepito da noi per raggiungere il risultato acustico che vogliamo noi. Non volevamo fabbricare un pianoforte che fosse una copia di quelli esistenti, cosa che peraltro comunemente si faceva e si fa ancora oggi. Noi italiani siamo quelli che hanno inventato il bel canto, quindi i nostri pianoforti hanno un suono raffinato, solare, nobile e ricco di colori. Gli strumenti vengono costruiti in modo diverso, facciamo piccole quantità, non abbiamo catene di montaggio, ogni piano è un pezzo a sé che ha una sua identità e un suo carisma. L'apprezzamento è stato altissimo».
L'ESORDIO ALLA SCALA
Infatti deve averlo molto apprezzato il pianista Aldo Ciccolini quando, dopo aver provato uno dei suoi strumenti, chiese a Paolo Fazioli: «Me lo può portare alla Scala?». Era il 1984 e da lì è cominciata una storia di successo strepitoso. Non c'è dubbio che i pianoforti Fazioli debbano parte del loro successo anche alle maestranze della zona, al fatto che fosse reperibile tanto personale abile nel lavorare il legno che è stato in grado di adattare le proprie conoscenze alla costruzione degli strumenti musicali. Ma è anche vero che la Fazioli è oggi una fabbrica che lavora quasi solo per l'estero e che fare impresa in Italia, lo sappiamo, è complicatissimo. Inoltre l'azienda si trova a due passi da un paese, l'Austria, dove la musica è considerata una cosa seria, che conferisce prestigio sociale: per una famiglia austriaca avere un figlio o una figlia che suonano in un'orchestra importante riempie d'orgoglio come se si trattasse di un primario di chirurgia.
FILOSOFIA DI VITA
La musica al di là delle Alpi non è una frivolezza per pochi originaloni, ma parte fondamentale di una profonda e completa la formazione culturale. Detto ciò, Fazioli è mai stato indotto in tentazione di percorrere i pochi chilometri che separano il Friuli dalla Carinzia e spostarsi oltreconfine? «Gli austriaci mi farebbero ponti d'oro, mi darebbero una fabbrica nuova se mi trasferissi là. Noi però siamo italiani ed è giusto che continuiamo qua. Abbiamo pescato competenze dal distretto del mobile, per la parte meccanica abbiamo una scuola interna, prendiamo ragazzi giovani e li formiamo in casa. Le capacità che abbiamo ci vengono da questo paese, i nostri operai sono molto più bravi di chiunque altro a risolvere rapidamente i problemi, possiedono una grande inventiva e manualità. Il made in Italy è un valore aggiunto, la nostra faccia è questa e tale va mantenuta. Non posso diventare von Fazioli».
IL RAMMARICO
Di concerto all'aver inanellato tanti successi, Paolo Fazioli ha però anche un profondo rammarico che riguarda quanto sia maltrattata la musica in Italia. Ne abbiamo già accennato: il bel canto non abita più qui, la lingua della musica è in tutto il mondo l'italiano, e l'Italia si è dimenticata della musica. Il primo libro musicale a caratteri mobili è stato stampato a Venezia nel 1501 da Ottaviano Petrucci e oggi di tutto questo non c'è quasi ricordo. «Renderei obbligatorio lo studio della storia della musica, in tutte le scuole», osserva Paolo Fazioli «così come la storia dell'arte. Ogni ragazzo sa chi sia Dante Alighieri, conosce un po' di letteratura, ha idea di quali siano i pittori più importanti. La musica, invece, è totalmente assente. L'unità d'Italia ha eliminato la musica dalle scuole definendola una cosa da signorine e da nullafacenti».
Alessandro Marzo Magno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci