Cecco Beppe, l'ultimo vero Re

Domenica 17 Febbraio 2019
Cecco Beppe, l'ultimo vero Re
Laggiù, fra solidi argini rassicuranti, scorre placido l'Ischl ignaro del trambusto che affolla il giardino, lo scalone con una folla di trofei di caccia alle pareti, le sale e le stanze della Kaiservilla. Il Vecchio ha subìto l'ennesima, allarmante sortita dei suoi ministri e generali che perorano la causa della guerra alla Serbia. Gli assicurano che sarà una questione da poco, una breve ma severissima lezione al popolo, bollato per irruento e aggressivo, cui apparteneva Gavrilo Princip, lo studente la cui mano armata aveva spento le vite dell'erede al trono Francesco Ferdinando e della consorte Sofia precisamente un mese addietro, il 28 giugno 1914, sul ponte che traversa la Miljacka a Sarajevo.
L'Imperatore, carico di anni e di tensioni, prostrato dai troppi dolori di una vita avara di felicità, si avvia al suo studiolo. A destra la poltrona imbottita cara ai suoi consueti pisolini estivi. Al centro lo scrittoio, abbastanza minuto, munito di telefono e pulsantiera elettrica per chiamare i servitori. A vegliare su quelle carte lo sguardo che gli manda l'amata Sissi, uccisa da un anarchico italiano a Ginevra 16 anni addietro, da un candido busto opera di Alfonso Canciani, straordinario artista friulano da Brazzano di Cormons.
Riottoso ma oppresso dall'Ananke, la Necessità della storia madre delle Moire e del destino, Francesco Giuseppe I d'Asburgo afferra la penna e firma la dichiarazione di guerra. Quel poco inchiostro innesca il colpo di tuono, come lo definirà Thomas Mann nella Montagna incantata. Sarà la Guerra mondiale, la fine annunciata ma repentina e sanguinosa del mondo di ieri e insieme l'avvento, fra tempeste d'acciaio e inutili stragi, di un nuovo corso e di un più autentico e tragico Novecento.
Il fervido afflato interventista contagiava le giovani menti dell'Impero e dell'Europa: i rampolli della nobiltà e della borghesia mordevano il freno per arruolarsi gioiosi. Fra i tanti, anche un ragazzo destinato alla celebrità filosofica: Ludwig Wittgenstein, che come volontario a ferma annuale s'imbarcherà sulla Goplana, un pattugliatore fluviale in servizio sulla Vistola nella zona di Cracovia, allo scopo dichiarato di diventare un uomo decente.
Favorevoli alla guerra, almeno in un primo momento, anche Thomas Mann stesso in Germania e Conan Doyle, il padre di Sherlock Holmes, nel Regno Unito, come osserva Luciano Canfora. Non contrario perfino il maestro del liberalismo economico Max Weber, che durante la guerra terrà un ciclo di seminari in difesa della Germania monarchica mentre descriverà i tratti del dominio carismatico del leader, enuncerà la dicotomia fra etica della convinzione ed etica della responsabilità. Distinguerà il Politico di vocazione e di rango (Berufpolitiker) dal praticone politicante (Machtpolitiker).
IL NUOVO MONDO
Del resto lui, il Vecchio sovrano, è assai consapevole che il mondo sta voltando pagina. Lo confida anche a Theodore Roosevelt, presidente degli Stati Uniti e cugino del prossimo successore alla Casa Bianca Franklin Delano Roosevelt. Il presidente viene ricevuto alla Hofburg di Vienna il 15 aprile 1910 e si sente spiegare dal Vecchio che lui, Franz Josef I, è l'ultimo monarca alla vecchia maniera mentre Roosevelt incarna il tempo coniugato al futuro. E' un incontro isolato, irripetuto. Ma con la cortesia di corte che il Vecchio esige, il presidente viene invitato a cena al castello di Schönbrunn, quello dove l'Imperatore era nato il 18 agosto 1930 e dove andrà ad estinguersi dopo quasi 68 anni di regno il 21 novembre 1916.
Era stato incoronato il 2 dicembre 1848 a Olomouc, città morava dove la corte si era rifugiata di fronte ai moti di quell'anno che avevano indotto alle dimissioni il cancelliere di ferro Clemens von Metternich. I fermenti rivoluzionari vennero poi schiacciati da un Josef Radetzky al quale Franz Grillparzer, fervente sostenitore della Patria sopra i popoli, dedicherà una celebre poesia: Nel tuo campo c'è l'Austria.
Alla storia e alle sue inappellabili sentenze, con il crollo della molteplice Monarchia sotto la spinta centrifuga dei movimenti nazionali, si sostituisce via via il suo apparente contrario: il mito. Ad esserne primi responsabili gli scrittori, che nel mitizzare o smitizzare la figura di Francesco Giuseppe si aggrappano, in realtà, all'aura del vecchio mondo di fronte al terrificante avanzare del nuovo con gli scarponi ferrati.
LE SCONFITTE DELLA VITA
Così avviene per Karl Kraus, autodefinitosi fieramente nemico degli Asburgo ma serbando la lealtà, quel Kraus così corrosivo dalle pagine della sua rivista Die Fackel La Fiaccola - e che nel quasi irrapresentabile e titanico testo teatrale Gli ultimi giorni dell'umanità (1922) si prenderà gioco dell'anziano monarca adottando come ritornello le parole Proprio nulla mi viene risparmiato. E' la disperata constatazione di una vita giunta alla sera lungo un sentiero di lutti e privazioni: dopo la fucilazione del fratello Massimiliano in Messico nel 1867, la tragedia di Mayerling con la morte del primogenito Rodolfo e della sua amante Maria Vetsera nel 1889, l'assassinio di Elisabetta nove anni più tardi, lo scandalo insieme sessuale e spionistico del colonnello Alfred Redl, assoldato dalla Russia zarista che ne conosceva la cupida sete di denaro e che probabilmente se ne avvantaggia nella fase iniziale della Grande guerra. Infine l'agguato di Sarajevo, epilogo e avvento di tutte le cose.
A contrastare la Monarchia, da giovane socialista, è anche Josef Roth, l'indimenticabile autore della Marcia di Radetzsky e della Cripta dei Cappuccini, che scriverà alcune fra le più struggenti pagine alla base del mito asburgico. Ma è nel boemo Jaroslav Hasek, autore dell'esilarante romanzo incompiuto Il buon soldato Svejk, che la satira assumerà i crismi dell'immortalità. L'intera opera è disseminata di antimilitarismo e antiasburgicismo, conditi in una salsa vernacolare e irresistibile. Così l'oste praghese Pavlicev viene portato in carcere dopo aver confessato di aver riposto in soffitta il ritratto dell'Imperatore per colpa delle mosche, che defecavano sull'augusto volto. Un'immagine, questa, che Roth riprenderà adottandola come metafora del lungo ma inesorabile declino del Welt aus Gestern.
Queste, tutte queste, sono formidabili radici del mito: nel 2019, in un'Europa pervasa da sovranismi, egoismi nazionali, fratture endogene allo stesso processo comunitario sognato da Altiero Spinelli nei giorni del confino fascista a Ventotene, insomma in tempi e condizioni incomparabili ma con tratti di effettiva somiglianza, capita sovente di trovare effigi del Vecchio appese in appartamenti privati e pubblici esercizi di varia levatura. Alla richiesta informale di spiegazioni, quasi tutti rispondono sorpresi della domanda: E chi dovrei mettere in vista se non Franz Josef?. Così sul Carso goriziano, a Gorizia stessa, a Trieste, nella Bassa friulana e perfino a Udine, che pure non apparteneva da troppo tempo al Friuli imperiale: già nel 1866 era diventata italiana.
Maurizio Bait
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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