IL RETROSCENA
ROMA Stavolta il vertice a tre lo ha preteso Giuseppe Conte che

Domenica 21 Ottobre 2018
IL RETROSCENA
ROMA Stavolta il vertice a tre lo ha preteso Giuseppe Conte che ha anche imposto la nuova riunione del Consiglio dei ministri. Il premier ha poco gradito lo scontro tra i suoi due vice, Di Maio e Salvini, andato in scena proprio mentre era impegnato a Bruxelles a cercare di convincere Commissione e partner europei della bontà della manovra.
Nella riunione Conte ha raccontato gli incontri avuti, i sospetti, le difficoltà e un po' quell'essere guardato con sospetto da coloro che gli hanno chiesto conto di qualche stravagante dichiarazione di esponenti della maggioranza. Ovvio, quindi, l'invito ai suoi vice ad evitare scontri che «ci indeboliscono nella trattativa e sui mercati». D'altra parte i due anche prima di salire a palazzo Chigi avevano fatto sfoggio di muscoli. Uno preoccupato più del raduno del Circo Massimo che della bocciatura di Moody's e l'altro pronto a non mollare senza ottenere dall'alleato garanzie su tutta una serie di provvedimenti fermi da tempo nel timore di presunte manine.
LA VOGLIA
La trattativa sul decreto fiscale dura poco. A Salvini non interessa passare per colui che difende gli evasori totali o, peggio, coloro che hanno capitali da riciclare. «Sono sempre molto pragmatico, facciamo ciò che si può e che è scritto nel programma, ma facciamolo», sostiene Salvini. Sul tavolo arrivano rapidamente il decreto sicurezza prossimo alla conversione in Parlamento e sul quale il M5S ha presentato 81 emendamenti «peggio dell'opposizione», ebbe a dire ieri l'altro lo stesso Salvini. E ancora il condono edilizio per Ischia - sul quale domani la Lega presenterà un emendamento per bloccarlo - e la legittima difesa che fa storcere il naso alla pattuglia pacifista grillina che lo ritiene un favore all'industria delle armi.
Di Maio ascolta, promette di «ridurre e concordare ogni emendamento» insieme all'alleato, come promesso già dal ministro Fraccaro, ma la sensazione è che il vicepremier grillino non disponga dei suoi parlamentari come il leader della Lega e che si muova ogni volta appesantito dal possibile giudizio della rete e di quel Rousseau che apre e chiude dirette e mi piace. Non basta la preoccupazione per l'appuntamento con la kermesse M5S del Circo Massimo per giustificare una tensione salita alle stelle nei giorni scorsi e che ha rischiato di far saltare il governo. Il rischio di una crisi nel mezzo di una manovra di bilancio non possono permettersela nè Di Maio nè Salvini, ma l'alleanza - malgrado i sorrisi a fine consiglio dei ministri - vacilla proprio a ridosso della trattativa con Bruxelles e del giudizio che i mercati daranno domani sulla manovra e il downgrading di Moody's.
Alla fine ieri la quadra è stata trovata, ma su cosa fare della manovra se lo spread dovesse salire ancora è buio pesto. Al punto che quando il ministro Tria prova a suggerire di abbassare il 2,4%, i due vice si ritrovano compatti nel dire no. L'obiettivo, ormai non nascosto, è arrivare almeno alle elezioni europee di maggio, ma il contratto è ormai entrato in crisi e la reciproca diffidenza non aiuta. «Continuano a vedere complotti ovunque, non si fidano nemmeno dello specchio che riproduce la propria immagine - sostiene un sottosegretario della Lega - mentre noi lo abbiamo visto in difficoltà e ieri lo abbiamo aiutato». E così, in questo clima, fatica anche Conte che i grillini sempre più spesso provano a schierare dalla loro parte rendendo al premier il compito ancor più complicato. Un clima da assedio, aspettando la bocciatura della Ue della manovra, e un contratto di governo che non prevede piani B. Almeno sino alle elezioni europee e ammesso che rispettino più o meno gli attuali equilibri. A dicembre torna Di Battista, il presidente della Camera Fico esterna con sempre maggiore frequenza e ieri Di Maio di queste sue preoccupazioni ha dato conto quando ha detto a Salvini che «sul condono sono io a giocarmi la faccia». Alla fine il leader grillino la spunta, anche se concede qualcosa all'alleato, ma la piazza grillina è sempre radunata e il contratto non riesce a coprire le differenze e la somma dei programmi non è la sintesi. Quando dal palco, il vicepremier e due volte ministro, dice che «non possiamo pensare che siamo arrivati al governo ed è fatta» perchè «il sistema è vivo e lotta contro di noi e prova riprendersi lo Stato», dimostra che ormai a palazzo Chigi si naviga a vista.
Ma. Con.
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