Fca, così si spezza l'ultimo filo di italianità

Lunedì 23 Luglio 2018
Oscar Giannino
Con l'avvento di Michael Manley alla guida del gruppo Fiat-Chrysler, si può dire che cada anche l'ultimo velo sull'italianità del gruppo Fiat. Ed è tempo di una riflessione complessiva su questo punto, una riflessione troppo a lungo rimandata. E che va inquadrata bene, cioè senza dimenticare due fondamentali premesse. La prima è che solo con Marchionne la Fiat ha potuto evitare di portare i libri in tribunale. La seconda è che unendo il salvataggio di Fiat a quello di Chrysler l'internazionalizzazione del gruppo è avvenuta nel 2009-2012, e credere che l'origine abruzzese della famiglia Marchionne fosse una storia che continuava invece di una che evolveva radicalmente è stato un terribile abbaglio di molti. La radice italiana di Fiat e quel che Fiat deve all'Italia non è un'opinione, sta scritta nei più seri libri dedicati alla lunga parabola del gruppo da parte di storici come Valerio Castronovo o Giuseppe Berta. Dalle commesse di guerra nel primo e nel secondo conflitto mondiale, alle ingenti risorse finanziarie destinate al gruppo dalle banche pubbliche dopo la nascita dell'Iri sotto il fascismo. Fino alla tutela assoluta perché in Italia non entrasse mai un produttore concorrente estero ricordare sempre a questo proposito il no della politica all'interesse della Ford per fare di Alfa Romeo il marchio sportivo della casa americana: un'Alfa che allo scoppiare della sua crisi nel 1993 produceva ancora 200mila vetture rispetto alle 183 mila allora della Bmw;
Continua a pagina 23
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci