«Noi due, vicini di scuola ma in tempi diversi»

Mercoledì 19 Settembre 2018
In principio le nostre vite si sono mosse su un'unica coordinata. Frequentavamo gli stessi luoghi, seppure a dieci anni di distanza. A battaglia navale saremmo stati soltanto una lettera. Poi, dopo un tempo apparentemente lungo, alla lettera si è aggiunto il numero. Colpito! E ci siamo incontrati.
La prima volta che mi sei apparso è stato su una rivista che stavo sfogliando in una sala di attesa di qualche medico o dentista. Eri davanti la tua casa di Tricesimo e sorridevi con un aeroplanino in mano. Avevi appena vinto un premio letterario importante.
In realtà, non ti veniva dato molto spazio in quell'articolo la poesia ha un appeal piuttosto limitato per la stampa ma quello che mi colpì fu l'espressione luminosa del tuo volto. Vederti e sentirmi meno sola fu tutt'uno. Pochi giorni dopo comprai il tuo libro Mandate a dire all'imperatore e per molti mesi i tuoi versi hanno accompagnato le prime ore delle mie giornate.
Ogni mattina, infatti, prima di farmi avvolgere dal turbinio delle non-parole, amo immergermi in parole luminose. E più ti leggevo, più desideravo conoscerti. Avrei potuto scriverti o procurarmi la tua mail, ma la timidezza mi tratteneva, oltre al timore che tu potessi appartenere all'estesa schiera dei miei detrattori letterari.
Sarebbe stato terribile se ti avessi scritto e tu non mi avessi risposto. O se lo avessi fatto con poche, formali parole.
Quando poi il nostro incontro reale è avvenuto un paio di anni più tardi ho avuto la precisa sensazione che un tassello mancante fosse venuto a colmare una parte ancora scoperta della mia anima.
Il segno distintivo del nostro rapporto è stato, fin da subito, quello della non ufficialità. Non ci siamo confrontati infatti sulla nostra attività letteraria né sui premi vinti, ma abbiamo subito parlato delle scuole frequentate nella nostra giovinezza. Tu eri stato un ragazzo del Malignani, mentre io una ragazza del Percoto.
L'istituto industriale per te, quello magistrale per me. Due complessi scolastici di Udine non troppo lontani uno dall'altro, uno prevalentemente maschile e l'altro femminile, e dunque fonte di reciproca attrazione. L'aulicità del liceo classico era lontana dai programmi delle nostre scuole. Dovevamo imparare un mestiere, e tutto l'insegnamento era volto in quella direzione.
L'arcaico snobismo nazionale ha sempre sottilmente negato patenti letterarie a chi si è formato lontano dall'aoristo e dalle impervie traduzioni delle lingue antiche. In fondo è ancora idea diffusa che la carriera letteraria non sia molto diversa da una qualsiasi altra carriera accademica nella quale l'avanzamento debba procedere per tappe, scalando un gradino dopo l'altro, assimilando il sapere degli altri, per poi riuscire un giorno a portare il proprio personale contributo.
Ma è davvero questa la letteratura?
Le nostre due storie, umane e letterarie, si sono svolte in direzione opposta. Pur essendo tu nato in una valle isolata e cresciuto in un mondo il cui unico libro presente in casa era il Vangelo, fin da subito hai avuto la percezione che le parole ti appartenessero e che il corpo a corpo con loro sarebbe stato il fulcro della tua futura vita.
Del resto lo stesso Leopardi annota nello Zibaldone che già da adolescente era perfettamente consapevole di essere un grande poeta.
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(*) Da Il tuo sguardo illumina il mondo (ed. Solferino)
per gentile concessione dell'autrice
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