ASSISTENZA
PADOVA «Noi anestesisti siamo seduti in un angolo, nel back stage

Sabato 23 Marzo 2019
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PADOVA «Noi anestesisti siamo seduti in un angolo, nel back stage della sala operatoria, pochi si accorgono della nostra esistenza, sanno cosa facciamo, sono consapevoli che siamo indispensabili. Quasi nessuno ci ringrazia, ma un anestesista ti può salvare la vita!». Sandra Cappellato, 42 anni, un figlio di 16 mesi, è anestesista all'Istituto oncologico veneto, contratto a tempo indeterminato dal 2010. «Fare l'anestesista è decisamente impegnativo, i riconoscimenti sono limitati, quelli che seguono il paziente sono il chirurgo, l'oncologo, anche se noi siamo anelli fondamentali del percorso. Facciamo parte della medicina dei servizi, dagli assistiti non siamo riconosciuti ma la cosa passa in secondo piano, le soddisfazioni sono comunque molte: recuperiamo situazioni gravi, diamo sollievo, abbiamo una visione complessiva della medicina, con una conoscenza un po' di tutto». La percentuale di rischio che c'è in anestesia non è trascurabile, un aspetto che può far paura. «E' uno dei sassolini nella scarpa: lavoriamo sul filo del rasoio, i rischi sono molti, ma fa parte del gioco. Uno svolge il suo lavoro - racconta la quarantaduenne - con consapevolezza, coscienza e scrupolo». Pochi, troppo pochi gli anestesisti, tanto che non è inusuale i concorsi vadano deserti, o quasi. Cappellato si dà una doppia risposa. «Un po' perchè i riconoscimenti sono scarsi rispetto ad altre figure professionali mediche, un po' perchè è difficile trovare un'assicurazione, i premi sono alti. L'anestesista è una figura meno in vista rispetto alle altre, lo noto quando gli studenti del quinto anno della laurea in Medicina vengono in sala operatoria: neanche ci guardano, poi magari si avvicinano, se spieghi cosa fai sono interessati, scoprono che in realtà dietro c'è un mondo affascinante che segue tutte le funzioni fisiologiche del paziente. Io farò l'anestesista tutta la vita - sorride Sandra Cappellato -, anche se vedendo i tempi bui altri si guardano attorno, magari abbracciando la medicina del dolore che comunque fa parte del bagaglio culturale dell'anestesista. Quando avrò novant'anni non so se riuscirò... ma adesso la carica di adrenalina, il vedere che sei riuscito a fare le cose per bene, anche se il paziente non viene a dirti apertamente grazie... beh quello per l'anestesia è amore vero». Dacchè, da studentessa ha lasciato la sola teoria e ha iniziato a frequentare i reparti, la dottoressa non ha avuto dubbi. «Non avrei fatto altro: l'anestesia richiede sicuramente passione, ma io ce la metto tutta». In Veneto, con i pensionamenti previsti con la Legge Fornero e la Quota 100, nel 2025 si dovrà fare i conti con un ammanco netto di 501 medici, denuncia l'Associazione medici dirigenti Anaao-Assomed. Di questi, ben 96 saranno anestesisti e rianimatori, ormai cercati col lanternino. Una fame di professionisti, testimoniata dal professor Giampiero Giron, che nell'ospedale mestrino Villa Salus tre giorni a settimana torna in sala operatoria, a fare l'anestesista. In barba ai suoi 84 anni. «Ai medici non mancano la passione, lo spirito di sacrificio, il tempo sottratto alla propria famiglia. Se la gente per strada sa che sei medico, ti ferma per chiederti scusi può dirmi se questi esami del sangue vanno bene?. Quello che manca - lamenta Giampiero Avruscio, presidente dell'Anpo Ospedale di Padova, Associazione nazionale primari ospedalieri - sono il sostegno, la valorizzazione di un lavoro considerato invece meno di una partita di calcio, manca il supporto per essere messi nelle condizioni di operare per il bene dei pazienti». Forse si sta formando una nuova cultura, denuncia Avruscio, che per curarsi non c'è più bisogno di anni e anni di studio, è sufficiente consultare Wikipedia. «O almeno è quello che pensa il ministro della Salute, visto che sono oltre dieci anni che il contratto dei medici non viene rinnovato». Mancate sostituzioni dei pensionamenti, poca valorizzazione dei giovani, che se ne vanno: «Gli ospedali all'estero - conclude amaro - sono pieni di nostri migranti intellettuali».
Federica Cappellato
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