IL PROCESSO
BELLUNO «Cosa aspettate a mettere in sicurezza la strada, che

Venerdì 8 Dicembre 2017
IL PROCESSO BELLUNO «Cosa aspettate a mettere in sicurezza la strada, che
IL PROCESSO
BELLUNO «Cosa aspettate a mettere in sicurezza la strada, che ci scappi il morto?». Mancavano poche ore all'incidente che si portò via Martina Bonavera, la 13enne investita e uccisa il 9 marzo 2013, sulla statale 50 all'incrocio con Giamosa. La sera prima una mamma, Roberta Majoni, preoccupata per sua figlia che ogni mattina doveva percorrere quel tratto rischiando la vita, parlava così alla dipendente comunale Anna Ribul Olzer. «L'avevo incontrata e le ho chiesto quando avrebbero messo in sicurezza quella strada - ha detto ieri in aula la Majoni - insomma quella di Martina è stata una morte annunciata». La residente di Giamosa è stata chiamata come teste nel processo che si sta svolgendo in Tribunale a Belluno. Alla sbarra con l'accusa dell'omicidio colposo della 13enne (dopo imputazione coatta imposta dal gip alla Procura) i vertici dell'Anas, proprietaria della strada, Eutimio Mucilli e Ettore de Cesbron de la Grannelais. Parte civile i genitori della bimba con l'avvocato Chiara Tartari del Foro di Treviso.
L'udienza di ieri è iniziata con gli ultimi testi chiamati dalla Procura, che hanno risposto alle domande del pm Giuseppe Gulli. Oltre al padre della ragazzina, Francesco Bonavera, che ha parlato della «situazione di pericolo che si era create sul tratto di strada», cruciale è stata la deposizione del referente del comitato cittadini di Salce, Giovanni Fant. L'uomo ha ripercorso gli oltre 10 anni di battaglia, inascoltata, portata avanti dal gruppo di residenti per ottenere sicurezza in quella strada. «Abbiamo avuto solo e sempre promesse verbali e ci parlavano di tempi lunghi - ha detto - Eppure dal 2002 in poi abbiamo fatti diversi incontri ai quali abbiamo invitato tutti, dal Comune all'Anas, che non si è mai presentata. Poi ancora due petizioni e diverse ipotesi di soluzioni, perché non solo denunciavamo il pericolo, ma si proponevano anche progetti». Il presidente del comitato era anche andato fisicamente nella sede bellunese dell'Anas, nel 2002, per invitarla alle riunioni, ma si era sentito dire: «Il vostro interlocutore è il Comune». «Da allora - ha detto -sono sempre andato solo in Comune, pur invitando ogni volta l'Anas. In tutti questi anni però i due enti hanno fatto uno scaricabarile l'uno con l'altro. E in quella strada un pedone passava a suo rischio e pericolo».
E non ha potuto fare altro anche Martina, quella mattina per andare a scuola. Per arrivare alla fermata del bus c'era l'unica soluzione di camminare a bordo della carreggiata: il guard rail messo dall'Anas per la sicurezza delle auto chiudeva ogni altra possibilità. «Per questo - ha spiegato la Majoni che ha scritto a Anas, raccolto firme e presentato un esposto - quando mia figlia nel 2011 doveva iniziare le medie mi sono preoccupata della pericolosità. Poi dopo a tragedia abbiamo chiesto che venissero stabilite una volta per tutte le responsabilità, ma non ci ha risposto nessuno».
Olivia Bonetti
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